Francesco Giordano, Yvii24, 24 VII 2020 *
LA SUBLIME “MADONNA DELLE GRAZIE” DEI CAPPUCCINI, UN DIPINTO DEL ‘400 NON PIU’ A PATERNO’
Storia e analisi artistica di un dipinto che per secoli fu custodito dai Frati Cappuccini di Paternò, ma che da alcuni anni si trova conservato presso il Convento dei Cappuccini di Messina. Auspicabile il suo ritorno.
La ricerca storica unita a quella artistica, oltre a suscitare un fascino seducente, riserva spesso sorprese che aprono scenari nuovi, a volte inaspettati, inerenti alle vicende culturali di una collettività. È un percorso che può svolgersi con lo studio di ampie tematiche, oppure attraverso l’analisi di una singola opera d’arte di rilievo. Il secondo percorso è quello che ho seguito per lo studio storico-artistico di un dipinto, i cui risultati presento in questo articolo. L’opera che ho preso in esame è il quadro della Madonna delle Grazie riferibile alla prima metà del Quattrocento, custodito per secoli dai Frati Cappuccini di Paternò ma da qualche anno trasferito nel Convento dei Cappuccini di Messina.
Si tratta di un interessante dipinto sconosciuto ai più, il quale cela una storia misteriosa a tratti leggendaria poiché le scarse fonti documentarie si mescolano a una pallida tradizione orale. Guardando ai documenti il primo a scrivere di questo quadro fu nel 1780 P. Andrea Felice da Paternò, uomo dotto e già ministro dell’Ordine dei Frati Cappuccini della Provincia di Messina.
Nelle sue Notizie storiche degli uomini illustri per fama di santità e di lettere che han fiorito nell’Ordine dei FF. Minori Cappuccini della provincia di Messina, scrive:«Questa sacra immagine essendo rimasta senza culto appesa nel dormitorio del Convento, dopo la nuova fabbrica di esso, la Vergine per ben tre volte si rivolse ad un religioso di perfezione, perché persuadesse il superiore a farla collocare in chiesa ove avrebbe fatto dei prodigi a benefizio del popolo. Il quadro fu posto in chiesa ed i prodigi si verificarono, per cui aumentò il culto e l’altare fu abbellito di stucchi, all’antica prima e poi alla moderna».
A queste prime notizie si aggiunsero alla fine dell’Ottocento quelle riportate dallo storico paternese per eccellenza mons. Gaetano Savasta, egli nel suo Paternò Sacro lascia intendere che il quadro già dal XV secolo apparteneva all’Arciconfraternita di S. Maria della Grazie che aveva sede nell’omonima chiesa posta nella zona del Belvedere a sud della Collina storica di Paternò.
Nel 1608 questa chiesa fu donata ai Cappuccini i quali la ricostruirono e vi annessero il loro nuovo Convento. Su questo Convento Savasta scrive che vi «si conserva l’effigie della Vergine dipinta sopra tavola, che lungamente trascurata del dormitorio del Convento, fu poi collocata nella nuova chiesa, dove le si eresse un altare e se ne solennizzava la festa la prima domenica di luglio»; quindi dalle notizie dei due storici sappiamo non solo che il dipinto in questione fu oggetto di devozione, ma con una festa si solennizzava il culto alla Vergine sotto il titolo delle Grazie.
Ad aggiungere nuove notizie fu nel 1931 P. Luigi Magro da Randazzo, storico e frate cappuccino, il quale in un libretto a carattere biografico pubblicato a Catania e dal titolo Padre Michele Moncada da Paternò, riportò delle informazioni che uniscono palesemente notizie storiche ed elementi legati alla tradizione orale. Dice infatti P. Luigi: «Si dice ancora che S. Lorenzo abbia mandato in dono la decorazione ricevuta in Baviera all’antico Quadro in legno della Vergine SS. Delle Grazie che si venera nell’antica Chiesa del Monte (dei Cappuccini n.d.r.) e che ora trovasi, per maggior decoro, nella Chiesa nostra dell’Annunziata» (si tratta della chiesa dell’Annunziata fuori le mura edificata nel 1884, donata ai Frati dal Canonico Antonino Guido nel 1902 a cui fu annesso l’attuale Convento eretto nel 1905 e in cui fu conservata la Tavola della Madonna per oltre un secolo; questa elegante chiesa fu purtroppo demolita nel 1977 per costruire a suo posto l’attuale edificio parrocchiale di S. Francesco all’Annunziata). Nel 1866 la chiesa delle Grazie sul colle ed il Convento furono requisiti dallo Stato italiano e poi acquisiti dal Comune di Paternò.
Riporta ancora P. Luigi che: «di questa decorazione, che si vede tuttora appesa attorno alla Sacra Effigie, sia proprio di S. Lorenzo non ho potuto trovare alcun documento che lo asserisca, però la tradizione ha tramandato tale notizia attraverso i frati antichi e raccolta dal clero e dai fedeli». Lo stesso autore – che attinse pienamente alle notizie riportate da P. Andrea Felice – sottolinea quindi il “si dice” e “la tradizione orale” che rendono deboli e lacunose le notizie storiche sulla decorazione del quadro (forse una specie di cornice) da egli stesso riportate, e tra le fonti orali menziona quella che individuava il religioso di perfezione a cui parlò la Madonna addirittura nella persona di S. Lorenzo da Brindisi.
Anche questo autore scrisse che il dipinto fu a lungo tenuto nel dormitorio del Convento e successivamente esposto alla pubblica venerazione a partire dal 1776, anno a cui risale l’ancona con nicchia in stucco modellato e dipinto in stile rococò – ancora oggi visibile nella chiesa sul Colle – e realizzata per conto di un non ben individuato “devoto svizzero per nome Serafino Petrolla”; in essa il dipinto venne collocato per la pubblica venerazione. La donazione di questa non specificata e misteriosa decorazione da parte di Lorenzo da Brindisi (già Padre Generale dell’Ordine e futuro santo e dottore della Chiesa cui accenna Luigi da Randazzo) sembrerebbe essere conseguente al ritorno dei Cappuccini a Paternò nel 1610, i quali per l’insalubrità dell’aria, dopo quarant’anni, avevano abbandonato il loro primo convento eretto nel 1556 nei pressi delle Salinelle.
Un’altra versione di una eventuale donazione è riportata da Fra Giovanni Spagnolo, il quale nel modesto opuscolo Padre Michele Moncada da Paternò pubblicato nel 1983 dice che «un’antica tradizione vuole che Lorenzo da Brindisi abbia fatto pervenire al nuovo convento una tavola della Madonna delle Grazie di squisita fattura quattrocentesca, ricevuta in dono in Baviera». Questi afferma che Lorenzo da Brindisi non avrebbe donato la decorazione ma addirittura lo stesso dipinto, si tratta chiaramente di una affermazione che non trova alcun riscontro documentario né storico, nata probabilmente da una amplificata stortura della notizia sulla donazione della decorazione-cornice.
D’altronde la donazione di Lorenzo da Brindisi è chiaramente anacronistica, in quanto nel periodo in cui i Frati Cappuccini ritornarono a Paternò, cioè tra il 1608 e il 1610, il futuro santo non era più vicario generale dell’Ordine da alcuni anni, poiché ricoprì tale incarico dal 1602 al 1605. Con molta probabilità il quadro apparteneva già all’Arciconfraternità che, come accennato prima, aveva sede nell’Oratorio della Madonna delle Grazie dove era già oggetto di culto fin dal XV secolo. Alla luce delle sue vicende storiche quest’opera – che tra l’altro necessita di un intervento di restauro – fa parte integrante del patrimonio storico, culturale, religioso-devozionale della collettività paternese. E al di là di queste vicende il dipinto ha un notevole valore artistico; va rilevato che in Sicilia i dipinti su tavola del Quattrocento sono particolarmente rari, soprattutto nella provincia di Catania; una rarità conseguente alla perdita di gran parte del patrimonio artistico a causa del terremoto del 1693 che devastò la Sicilia orientale.
ANALISI DELL’OPERA – Il dipinto della Madonna delle Grazie dei Cappuccini d Paternò è una tempera su tavola che misura 130 x 65 cm, riferibile al tardo gotico siciliano è databile – come detto prima – alla prima metà del Quattrocento. La tavola è quanto resta di una composizione più ampia, un trittico o forse un polittico con pannelli laterali, dove è ben rilevabile anche la perdita della predella di base e della cimasa in alto. Malgrado il titolo alla Madonna delle Grazie il tema iconografico raffigurato è quello della Madonna dell’Umiltà, esso presenta infatti la Vergine con Bambino seduta in terra, diversamente dal tema della Madonna in Maestà che la raffigura assisa in trono.
Questo tema iconografico si affermò nel Trecento ed è riferibile agli ordini mendicanti, i quali attraverso la Vergine seduta in terra diffondevano il messaggio per una Chiesa umile (di cui la Madonna è immagine), con una dimensione umana e sociale che la rendeva presente in mezzo al popolo di Dio. L’opera, da me visionata negli anni passati a Paternò e recentemente a Messina – in quest’ultima occasione assieme all’architetto Antonio Caruso – non è datata e riporta in alto l’iscrizione in parte perduta “Mater Domini”, la legenda fa riferimento ad uno dei titoli della Madonna.
La Vergine è raffigurata seduta su un cuscino rosso poggiato su un pavimento e reca in braccio il Bambino Gesù. I colori dominanti del dipinto sono il blu scuro del manto mariano, il rosso del suo abito e il bianco del manto che avvolge delicatamente il Bambino. Ma è soprattutto l’oro a risaltare: l’oro del fondo che è una chiara simbologia della sacralità delle figure rappresentate, lo stesso fondo presenta una decorazione a motivi floreali a simboleggiare il Paradiso. Particolarmente raffinate sono le pose delle due figure, sublime la Vergine diafana dallo sguardo dolce e ieratico nel contempo e nobile il Bambino Gesù che cinge delicatamente il collo della madre.
Uno scambio di amore materno e filiale che umanizza le due figure distaccandole dai precedenti rigidi stilemi bizantini per consegnarle al nuovo linguaggio rinascimentale prossimo a venire. La raffinatezza dei lineamenti del volto del Bambino ma soprattutto della Vergine Maria dagli straordinari occhi allungati, sono particolarmente indicativi della perizia dell’ignoto autore. La tavola conserva ancora parte della bella cornice in legno con virtuosi intaglirealizzati da un mastro lignario, con un arco gotico nella parte superiore e pilastrini laterali con sottili colonnine tortili.
Per quanto concerne l’autore, secondo Licia Buttà dell’Università Rovira di Terragona in Spagna, che ha studiato la pittura tardogotica siciliana, la nostra tavole sarebbe opera del cosiddetto Maestro del Polittico di Agira, un artista forse siciliano che apprese gli stilemi del gotico internazionale e fu influenzato dalla pittura gotica genovese e pisana. Secondo la studiosa il corpus pittorico di questo artista annovererebbe, oltre la Tavola della Madonna di Paternò, il Trittico di S. Maria la Latina nella chiesa di S. Filippo in Agira, un Trittico conservato nella chiesa degli Agostiniani nella cittadina di Rabat a Malta, e due sportelli laterali con santi facenti parte in origine di un Polittico, conservati presso il museo di Palazzo Bellomo a Siracusa.
Si tratta di una produzione che – come altri dipinti coevi in Sicilia – testimoniano gli scambi culturali e le reciproche influenze stilistiche che intercorrevano all’epoca tra gli artisti siciliani e quelli dell’ambito nazionale e internazionale. L’ipotesi della Buttà è a mio avviso condivisibile, sono molte infatti le corrispondenze stilistiche tra le quattro opere; a titolo esemplificativo valgano per tutte le forti affinità tra la Madonna di Paternò e quella di Agira. Concludendo, ammirare e contemplare il dipinto della Madonna delle Grazie è un’esperienza da provare.
Per questo motivo, per l’importanza che questo quadro riveste nel contesto della pittura tardogotica della Sicilia, ma soprattutto per la sua storia intimamente legata a quella della cittadina etnea, è auspicabile che esso rientri nel suo coerente contesto storico, culturale e religioso, affinché attraverso modalità concordate e condivise, a Paternò sia conservato, tutelato, valorizzato, fruito e magari essere restituito alla sua originaria devozione religiosa.
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* Un grazie al prof. Nino Tomasello che ci ha segnalato quest’interessante recensione firmata da Francesco Giordano su Yvii24.it (NdS)