Andreina Corso, La voce di Venezia, 15 XI 2015.
Parigi e l’orrore del male
[“I know not what tomorrow will bring”, Fernando Pessoa]
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Ad ogni orrore, ad ogni lacerazione che nasce dall’odio, vien da pensare che più in là di così, il male non possa arrivare. E’ terribile, ma ci stiamo abituando ad accettare la violenza, anche nelle sue espressioni più temibili e raggelanti. La vita umana sembra non contare più, si ammazza, ci si ammazza, assistiamo tutti i giorni a scene drammatiche, i nostri figli seguono dal televisore, dal computer o dal loro cellulare vicende quotidiane di decapitazioni, di corpi smembrati in faville che confondono visioni che non ci sembrano vere, tanto forte è lo smarrimento che ci prende ogni volta che succede.
Ancora Parigi, ma i terroristi hanno fatto sapere che anche il nostro paese riceverà pan per focaccia e la corrente che scalda la paura, è già accesa. Per una naturale e comprensibile debolezza, i fatti lontani ci toccano, ma rimangono lontani, mentalmente riusciamo a percorrere lo spazio tempo in modo di poterci rassicurare. Il nostro spirito di sopravvivenza lo richiede. E un po’ anche il nostro egoismo, che si mostra, quando la vita viene minacciata. Il silenzio cala sui nostri pensieri, ci chiediamo cosa sia successo all’umanità, se siamo anche noi responsabili di tutto questo.
E’ come se la Terra improvvisamente espellesse l’uomo e tutta la sua storia insieme alla civiltà. Le religioni, i fanatismi, lo sguardo cieco di cuori spenti assetati di vendetta, ma anche l’economia, il potere, le dittature, il razzismo, l’intolleranza, l’ignoranza, l’incoscienza, l’emarginazione e perfino il disamore sono parte degli ingredienti che fanno dell’uomo di oggi, un uomo vinto, sconfitto dal suo stesso essere un non-uomo in grado di prevenire ed evitare questa deriva. In grado di esserci ed esistere per migliorarlo questo mondo e non per insanguinarlo.
Se è vero che l’uomo è una folla, come ci ha detto Pessoa, vien da chiedersi chi sia mai quell’ uomo che esce dalla folla e diventa suicida e insieme assassino. O forse il poeta voleva dire che ognuno di noi è una folla, siamo un po’ veri e un po’ finti, un po’ buoni e un po’ cattivi, un po’ primitivi e un po’ evoluti… O forse voleva dire che la folla umanità è incontenibile se non se ne conosce la storia e il respiro, o forse già sapeva che anche questa volta a Parigi avrebbero pagato folle innocenti, nel vivere ed esistere e che troppe domande rimangono senza risposte, fino a zittirle, senza quiete.