Roberta Scorranese, Corriere della sera, 5 VII 2024
Gustave Courbet, le «signorine» in riva al fiume e lo scandalo della verità nell’Ottocento
L’artista francese scardina lo spazio e porta le figure in primo piano, come poi farà con lo scabroso «L’origine du monde»
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Questo dipinto apparve per la prima volta a Parigi in una esposizione nell’estate del 1857. Pochi mesi prima, a gennaio, Gustave Flaubert era andato a processo perché il suo «Madame Bovary» era stato giudicato indecente. E quando la gente vide questo quadro, intitolato Signorine sulle rive della Senna, un altro Gustave finì nel mirino della censura: Gustave Courbet, l’autore del dipinto, (ex) ragazzo terribile della scena parigina, gran teorico del «dipingo quello che vedo». Non finì alla sbarra (anni dopo finirà in galera, ma per la sua partecipazione alla Comune), ma le sue Signorine furono oggetto di critiche feroci, di caricature e insomma, ne nacque una bella polemica da salotto. Ma perché queste due donne, che sembrano strappate a una domenica pomeriggio sonnacchiosa, fecero arrabbiare così tanto la borghesia parigina, rafforzata dopo i moti del 1848? Se dovessimo dare una risposta secca, potremmo dire che, appunto, «Courbet dipingeva quello che vedeva»: cioè due ragazze di una classe non elevata, che si concedono un riposo sulla riva del fiume, che si abbandonano con naturalezza al sonno, incuranti dell’etichetta e dell’eleganza con cui all’epoca le donne venivano inquadrate. Ma naturalmente la questione è più complessa e più affascinante, perché coinvolge la storia, la politica e quell’universo infinito che è il corpo.
Ma c’entra anche lui, Gustave Courbet, nato nel 1819 a Ornans, posto che tornerà spesso nella sua pittura, e non a caso: campagne selvatiche, rocce, terra fresca. Courbet sin dall’inizio ha provato a scardinare i dettami dell’accademia con una visione che oggi definiamo «naturalistica» e che, all’epoca, veniva guardata con sospetto. Prendiamo per esempio il suo Gli spaccapietre, distrutto dalle bombe a Dresda durante la seconda guerra mondiale: Courbet lo fece che non aveva ancora compiuto trent’anni ma già aveva chiaro in mente quello che voleva dire. Uomini di fatica, sudati e stremati dal lavoro, colori crudi, passati con la spatola sulla tela e «aggiustati» con le dita, qualche volta sfumati con degli stracci.
L’artista aveva una sola ossessione: la verità. «Dipingo quello che vedo», niente orpelli, niente idealizzazioni, niente altro che la verità. Nello stesso anno, in Inghilterra, esce anche La piccola Dorrit di Charles Dickens, piccolo compendio del realismo, mentre in Italia un giovane autore comincia a pubblicare storie che, ugualmente, attingevano alla realtà. Si chiamava Giovanni Verga. E lo stesso Flaubert era finito sotto processo perché «l’indecenza» della sua Madame Bovary non stava tanto nella storia quanto in alcuni dettagli che nel romanzo venivano riportati in modo crudo, veristico. Tanto è vero che per lui si usò la metafora chirurgica del «bisturi», tanto sapeva scavare nella realtà e restituire anche i dettagli più minuti.
Courbet, però, era un pittore raffinato e la sua incursione nella verità non poteva limitarsi ai temi, anche se frequentò a lungo contadini, spaccapietre e donne del popolo. Le «Signorine sulle rive della Senna» diedero scandalo anche per un motivo squisitamente pittorico: l’artista scardina lo spazio scenico, porta in avanti le figure, le rende reali, come se quelle due donne fossero state davvero davanti a noi, distese, scomposte, assonnate (indecenti, nella visione dell’epoca). Nella tradizione accademica, le figure ricoprivano spazi precisi e questi piani ravvicinati erano una novità. E Courbet nella sua carriera porta all’estremo questo esercizio, in particolare con due dipinti, uno che risale al 1845 e un altro più tardo, terminato nel 1866. Il primo è Autoritratto, detto anche Il disperato.
E il secondo, forse il suo più famoso, si intitola L’origine du monde. Quest’ultimo, la celebre immagine del sesso femminile ritratto in primo piano – proprio come nell’Ottocento si ritraeva il volto di una nobildonna – ha una storia affascinante, perché venne realizzato per la collezione privata di un uomo molto ricco ma poi, nelle varie vicissitudini della sua esistenza, finì anche nella raccolta dello psicanalista Jacques Lacan, il quale lo teneva nascosto dietro un pannello appositamente dipinto dall’artista Masson e lo mostrava esclusivamente a pochi eletti che frequentavano la sua casa.
Oggi si trova al Musée d’Orsay. Ma, come ha ben argomentato Walter Siti nel suo saggio Il realismo è l’impossibile (nottetempo), la realtà non è rappresentabile, proprio perché sfugge a ogni forma di figurazione e dunque non resta che un gioco illusionistico. Di primi piani, di rottura dello spazio scenico, di dettagli raffigurati minuziosamente. Ecco perché oggi sia L’origine du monde che Autoritratto ci paiono grotteschi e non, invece, inscritti in quella operazione di «cattura del vero» che voleva l’autore. Il quale, invece, resta un formidabile guastatore dell’accademia, uno che ha rotto con la tradizione e ha squarciato un velo, un velo di morale, lo stesso nel quale si infilerà, qualche anno dopo, Èdouard Manet quando esporrà, nel 1863, la sua Olympia, scandaloso dipinto in cui la protagonista sarà una delle donne più chiacchierate di Parigi.
Courbet ha raccontato un’epoca, quella delle disillusioni e dei cosiddetti «maestri del sospetto», come Marx. Un’epoca in cui l’arte provava a trovare una nuova realtà, magari solo percepita – come faranno gli impressionisti e infatti non a caso anche Claude Monet viene considerato uno dei pionieri del vero. E se il realismo è impossibile, come scrive Walter Siti, è anche vero che i primi piani di Courbet cambieranno per sempre il modo di dipingere.