A. Zangrando, Corriere della sera, 2 III 2018.
La Biennale di Venezia è «Freespace»
Il volto umano dell’architettura
Presentata la sedicesima edizione, dal 26 maggio al 25 novembre: 65 Paesi, 7 nuovi entrati tra cui la Santa Sede. «La creatività sia responsabile e al servizio dell’uomo».
«L’architettura non può prescindere dalla natura dei luoghi in cui sorge, è un’illusione quella di essere indipendenti dall’ambiente. Ne è una prova la situazione di oggi». Yvonne Farrell e Shelley McNamara non hanno potuto raggiungere Venezia, costrette a chiudersi in casa per la bufera di neve che ha colpito la loro città, Dublino. Così hanno presentato via Skype, assieme al presidente della Biennale Paolo Baratta, la loro Freespace (dal 26 maggio al 25 novembre, www.labiennale.org), sedicesima Mostra internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. Nessuna anticipazione di progetti, le curatrici hanno preferito esporre poetica e visione che hanno ispirato la selezione dei 71 partecipanti. Partendo da esempi minimali, semplici, concreti. E spiazzanti. Come la panca all’ingresso di Can Lis, la casa firmata dal danese Jørn Utzon (1973) a Majorca o le finestre in vicolo Santa Maria alla Porta, Milano, di Luigi Caccia Dominioni (1961) o ancora le abitazioni a Ivry-sur-Seine di Jean Renaudie e Renée Gailhoustet (1969). Tutti accomunati da un ideale. «Freespace parla del senso di umanità che l’architettura deve porsi come primo obiettivo — spiega Shelley McNamara —, prestando attenzione alla qualità dello spazio. Pensiamo che l’architettura debba offrire in dono spazi liberi, cercare di essere generosa in ogni progetto, anche dove le condizioni sono più difficili. Insomma la creatività deve essere al servizio della comunità».
Lo «spazio libero» è stato concepito lo scorso giugno in forma di Manifesto. Parla di impegno e società. «Freespace invita a riesaminare il nostro modo di pensare, stimolando nuovi modi di vedere il mondo e di inventare soluzioni in cui l’architettura provvede al benessere e alla dignità di ogni abitante di questo fragile pianeta. Freespacepuò essere uno spazio di opportunità, uno spazio democratico, non programmato e libero per utilizzi non ancora definiti». Yvonne Farrell sintetizza: «Restituire spazi al cittadino è la responsabilità dell’architetto». Un atto di accusa verso le archistar? «No, tra i partecipanti ci sono molti architetti affermati ma non hanno avuto difficoltà ad aderire al nostro tema», spiegano.
Nessun duello, quindi, fra etica ed estetica, e la bellezza non è necessariamente riconducibile all’effetto e allo stupore. Le curatrici portano l’esempio che le vede protagoniste con lo studio Grafton: l’ampliamento della Bocconi, dieci anni fa, con il muro di vetro di otto metri che permette di partecipare dall’esterno alla vita dell’università milanese. «È una generosità che parte dalla ragione, non è una religione o un sentimento fideistico, non è la celebrazione di un’etica ma un appello alla società organizzata», precisa il presidente della Biennale, che annuncia sessantacinque partecipazioni nazionali, sette delle quali presenti per la prima volta: Antigua & Barbuda, Arabia Saudita, Guatemala, Libano, Mongolia, Pakistan, e la Santa Sede con un padiglione sull’Isola di San Giorgio.
Freespace non sarà quindi una passerella di virtuosismi e individualità ma vuole dedicarsi alla trasmissione di un’esperienza, quella di un’architettura dal volto umano. Lo dimostrano le due sezioni speciali della Mostra: Close encounter presenterà lavori che nascono da una riflessione su celebri architetture del passato, The practice of teaching raccoglierà invece progetti sviluppati nell’ambito dell’insegnamento. L’architettura è un servizio nel quale una certa dose di umiltà va incoraggiata. L’ideale per Yvonne Farrell e Shelley McNamara è il veneziano Palazzo Fortuny, la casa laboratorio di Mariano. Operosità e creatività in nome dell’uomo.