Valentina Santarpia, Corriere della sera, 1 XII 2017
Censis 2017, gli italiani tra smartphone e mito del lavoro fisso.
L’ultimo rapporto racconta di un’economia in ripresa, grazie al manifatturiero, ma di una stagnazione a livello di istituzioni: gli italiani sono sfiduciati nella politica, ma non rinunciano alla soddisfazione di concedersi un po’ di comfort: dalla tecnologia al divertimento culturale.
Il futuro incollato al presente
Un popolo di sfiduciati nelle istituzioni, che fa fatica a laurearsi e a trovare un lavoro, e che però investe parte delle sue risorse in generi di comfort, dall’estetica ai viaggi, in un tentativo forse estremo di far muovere l’economia stagnante e di risollevare l’umore generale del Paese. È il quadro che emerge dal 51esimo rapporto Censis, un rapporto che racconta di una società incollata all’hic et nunc, dove «Il futuro si è incollato al presente – come si legge nella prefazione – Incollando il futuro al presente, la società italiana ha resistito anche alla tentazione di porsi il problema della sua classe dirigente, di coloro i quali sono in qualche modo chiamati a dare visione e senso dello sviluppo, a fare cultura del futuro come progetto. Con il risultato che, mentre i lenti movimenti interni costituivano parti via via più elementari della società, nel suo complesso questa si fa trovare impreparata. Se pochi sono stati gli esploratori, le retrovie si sono messe in attesa». E quindi, attenzione, ammonisce il Censis: «Senza un rinnovato impegno politico e un diverso esercizio del potere pubblico, senza la preparazione di un immaginario potente, resteremo nella trappola del procedere a tentoni, alla ventura, senza metodo e obiettivi, senza ascoltare e prevedere il lento, silenzioso, progredire del corpo sociale».
Boom di poveri: 4,7 milioni
Secondo il Censis, le persone che in Italia vivono in condizioni di povertà assoluta sono 4,7 milioni, il 165% in più del 2007. Sono oltre 1,6 milioni le famiglie che nel 2016 sono in condizioni di povertà assoluta, il 96,7% rispetto al periodo pre-crisi. L’incremento maggiore si registra al Centro (+126%) e al Sud (+100%). Sono in povertà assoluta il 23,2% delle persone in cerca di lavoro, il 12,5% dei minori (+2,6% negli ultimi tre anni), il 10% dei millennial (+1,3%), al 7,3% tra i baby boomer e al 3,8% tra gli anziani, dove invece si registra un calo dell’1,3%. È in povertà assoluta il 26,8% delle famiglie con tre o più figli minori e il 25,7% delle famiglie straniere. Il Censis sottolinea poi «l’emergenza permanente» delle persone non autosufficienti: 3,3 milioni di persone (8% della popolazione), che nell’80,8% dei casi hanno più di 65 anni.
I consumi e il ritorno al comfort
Tra il 2013 e il 2016 la spesa per i consumi delle famiglie italiane è cresciuta complessivamente di 42,4 miliardi di euro (+4% in termini reali nei tre anni), segnando la risalita dopo il grande e continuato tonfo. C’è una ripresa della spesa nel mattone: il fatturato del settore immobiliare residenziale è passato da 72 a 89 miliardi di euro tra il 2014 e il 2016. Nell’ultimo anno gli italiani hanno speso complessivamente 194 miliardi di euro (+4,6% in termini reali tra il 2014 e il 2016) per una galassia di servizi: 80 miliardi di euro per la ristorazione, 25 miliardi per alberghi, 6,4 miliardi per pacchetti vacanze; 29 miliardi di euro per la cultura e il loisir, dai musei ai parchi, dai cinema ai teatri e ai concerti; 28,5 miliardi di euro per servizi diversi per le famiglie, dai servizi domestici con personale retribuito (16,6 miliardi) a quelli di artigiani come idraulici, elettricisti, muratori (6,6 miliardi), ad attività varie di riparazione (1,7 miliardi); 25,1 miliardi di euro per la cura e il benessere soggettivo, dai parrucchieri (11,3 miliardi) ai prodotti cosmetici (11,2 miliardi), ai trattamenti di bellezza (2,5 miliardi). Gli italiani si dicono disposti a spendere un po’ di più, anche per concedersi dei piccoli lussi: seguendo la filosofia del «denaro che genera più denaro», indirizzano le proprie risorse verso i servizi di comfort, e infatti si dichiarano molto o abbastanza soddisfatti della vita che conducono.
Cultura e entertainment in crescita
Negli ultimi dieci anni, pur messe duramente alla prova dalla crisi, le famiglie hanno destinato a questa tipologia di consumi una spesa crescente, che nel periodo 2007-2016 è aumentata del 12,5%, a fronte di una riduzione del 3,9% dei consumi complessivi: si è andata consolidando, quindi, la tendenza delle persone a uscire di casa per visitare mostre e musei, guardare film al cinema, assistere a un concerto. Tra il 2015 e il 2016, la vendita di biglietti delle sale cinematografiche è cresciuta del 6,7% e l’incremento del numero degli spettacoli è stato del 4,2%; nell’ultimo anno, il 52,2% degli italiani è andato al cinema almeno una volta, il 5,1% in più rispetto all’anno precedente; – gli italiani visitatori di musei e mostre (17,8 milioni di persone, il 31,1% della popolazione totale) sono aumentati del 4,1% nell’ultimo anno e gli ingressi nei musei del 6,4%; ancora nel primo semestre del 2017 i visitatori di musei, monumenti e aree archeologiche statali sono in crescita: 23.213.288 ingressi hanno portato introiti per 88.708.038 euro, con un aumento rispettivamente del 7,3% (i visitatori) e del 17,2% (gli incassi) rispetto al medesimo periodo del 2016. Lo stesso fenomeno di crescita si riscontra anche per i consumi mediatici. Il boom di acquisti di device digitali (smartphone e personal computer in testa) non è stato certamente un capriccio o una moda passeggera.
Turismo da record
L’Italia è sempre più un polo attrattivo per il turismo domestico e internazionale. Nel 2016 gli arrivi complessivi hanno sfiorato i 117 milioni e le presenze i 403 milioni, con una componente dei visitatori stranieri attestata al 49% del totale. Rispetto al 2008, si registra un incremento degli arrivi del 22,4% e dei pernottamenti del 7,8%. Crescono di più: gli stranieri: +35,8% gli arrivi e +23,3%; i soggiorni in strutture diverse dagli alberghi: +45,2% di arrivi e +10,9% di presenze, a fronte rispettivamente del +17% e +6,4% riferito alla componente alberghiera. Nel primo semestre del 2017 si registrano ancora nuovi tassi di incremento: gli arrivi crescono di un ulteriore 4,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e le presenze del 5,3%: in soli sei mesi abbiamo avuto 2,7 milioni di visitatori in più, con oltre 10 milioni di pernottamenti aggiuntivi. Merito anche delle sistemazioni low cost e delle piattaforme digitali.
Il pessimismo e il rancore
Prevale la convinzione che sia difficile salire nella scala sociale: lo pensa l’87,3% degli italiani che sentono di appartenere al ceto popolare, l’83,5% del ceto medio, ma anche il 71,4% del ceto benestante. Al contrario, pensano che sia facile scivolare in basso nella scala sociale il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, ma anche il 62,1% delle persone più abbienti. In questo contesto, si fa strada l’avversione per i diversi, per chi potrebbe «accaparrarsi» fette di benessere: se il 47% degli italiani è favorevole ad aiutare rifugiati e profughi, ben il 45% è contrario, quota che sale al 53% tra gli operai e i lavoratori manuali, al 50% tra i disoccupati e addirittura al 64% tra le casalinghe. Tant’è vero che la reazione degli italiani in caso di matrimonio della figlia femmina con una persona di religione islamica è decisamente la più contraria.
Pochi laureati
Nel nostro Paese il 14,7% della popolazione di 15-74 anni è in possesso di una laurea o di un titolo equivalente (il 15,1% tra i nati in Italia): si tratta di una percentuale che ci pone decisamente al di sotto della media dell’Unione europea, che vede ben il 26,1% della popolazione in possesso di un livello di istruzione terziaria. Si tratta di un problema che parte da lontano e che risulta evidente anche dalle quote di studenti stranieri iscritti nelle università italiane, pari al 4,4% del totale. Nel Regno Unito gli stranieri iscritti alle università sono il 18,5% del totale, in Francia il 9,9%, in Germania il 7,7%. Manca dunque una visione strategica che, al di là delle necessità legate all’emergenza e alla prima accoglienza, ponga poi il tema della povertà dei livelli di formazione e di competenze del capitale umano che attraiamo.
I miti
Il posto fisso, il social network, la casa di proprietà, lo smartphone, la cura del corpo, molto più che un buon titolo di studio o un’auto nuova: ecco i miti dell’immaginario collettivo della popolazione. Per gli ultrasessantacinquenni il posto fisso in azienda o nel pubblico impiego resta saldamente in cima alla graduatoria dei fattori ritenuti centrali (50,7%), insieme alla casa di proprietà (39,3%), per quanto oggi minacciati dalla condizione di insicurezza individuale e collettiva (al terzo posto con il 24,7%). Nelle fasce d’età più giovani (i 14-29enni, con valori del tutto simili a quelli dei 30-44enni) i vecchi miti appaiono consumati e stinti, e la gerarchia dei simboli è sovvertita: i social network salgono al primo posto (32,7%) e anche lo smartphone (26,9%), la cura del corpo (dai tatuaggi al fitness, alla chirurgia estetica, cui si ricorre per rimodellare il proprio aspetto: 23,1%) e il selfie (21,6%) occupano le prime posizioni, mentre sono relegati in fondo, nelle ultime posizioni della graduatoria, sia il buon titolo di studio come strumento per accedere ai processi di ascesa sociale (il 14,9% tra gli under 30 e il 10,1% tra gli under 45), sia l’automobile nuova come oggetto del desiderio (rispettivamente, il 7,4% e il 10,1%).
La sfiducia
Il 60% degli italiani si dichiara insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese. Il 64% è convinto che la voce del cittadino semplicemente non conti nulla. I dati segnalano la dimensione colossale dell’onda di sfiducia che ha investito la politica e i suoi soggetti: l’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo centrale, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, dalle Regioni alle amministrazioni comunali. L’insoddisfazione regna sovrana: il 75% degli italiani boccia i servizi pubblici, il 67% dichiara di non avere fiducia nella Pubblica amministrazione. E nelle critiche ci finisce pure l’euro: il 50,3% dei cittadini pensa che abbia impoverito la maggioranza degli italiani.