Marco Pratellesi, L’Espresso, 5 XII 2014.
La ripresa? Non pervenuta.
E le famiglie scoprono incertezza, inquietudine, ansia
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Secondo il Censis si investe poco e solo nel breve periodo. Nell’ultimo anno 6,5 milioni di italiani hanno intaccato i risparmi per sopravvivere. Cala la fiducia nella politica e nella Ue. Ma social network e selfie viaggiano alla grande.
La ripresa? Non pervenuta. “Facciamocene una ragione”. La sintesi, per la verità poco stimolante, emerge dal Rapporto 2014 sulla situazione sociale del Paese elaborato dal Censis. Come eravamo? Abbastanza felici, grazie. Come siamo? Qui il discorso si fa più complesso. Il Rapporto riferisce di una società sempre più “informe”, “sghemba addirittura nei suoi pensieri”, indistinta e sfuggente. Più di una “società liquida” emerge un “sistema liquefatto”: dalla politica al sindacato; dalle istituzioni alle banche. Sarà un caso, ma anche l’espressione “fare sistema”, che un tempo rimbalzava da una “convention” all’altra, oggi appare impronunciabile senza un qualche imbarazzo.
Dove stiamo andando? Verso una società a-sistemica, suggerisce il Censis, visto che con i vecchi modelli sistemici – piramidali, collegiali e concertativi – non si governa più. Così una volta ce la prendiamo con la situazione geopolitica (dall’Est Europa al Medio Oriente); un’altra con il mercato finanziario mondiale. Tutte dinamiche che difficilmente riusciamo a capire e men che meno a controllare. Così i vincoli di bilancio imposti dall’Europa finiscono per soffiare sul fuoco di un crescente egoismo nazionale, mentre la politica finisce per celebrare uno stanco gioco auto-celebrativo che allontana gli elettori dalla “casta”. La politica, sempre più, “soffre di un picco negativo di bassa reputazione e fiducia, di rancore diffuso, di anti-politica, di rabbia”.
In questo contesto, la crescita di diseguaglianze economiche, la scomparsa del ceto medio e la difficile integrazione degli stranieri innescano una guerra tra poveri che apre le porte, in prospettiva, all’acuirsi di imprevedibili tensioni sociali.
LE FAMIGLIE LIQUIDE
Se il 47% degli italiani pensa che il picco negativo della crisi, in qualche modo, sia alle spalle, è tuttavia l’incertezza del futuro a prevalere. Le famiglie investono quindi solo nel breve e brevissimo periodo. Il 44% delle famiglie italiane destina il proprio risparmio alla copertura di possibili imprevisti, soprattutto perdita del lavoro e malattia. La nuova parola d’ordine è “coprirsi le spalle”: soldi a portata di mano per ogni evenienza. Si paga soprattutto in contante, un fiume di denaro (41% del totale) riconducibile “alla vocazione al nero, al sommerso, a una fuga dalla tassazione”.
La crisi ha coinvolto famiglie che in passato ne erano rimaste illese. Il Censis stima in 6,5 milioni le persone che nell’ultimo anno, per la prima volta nella loro vita, hanno dovuto integrare il reddito familiare intaccando i risparmi o ricorrendo a prestiti. Questa vulnerabilità diffusa fa sì che il 60% degli italiani ritenga che possa capitare a chiunque di finire in povertà. Un sentimento diffuso che è alla base dell’abbattimento dell’acquisto di beni, servizi e prestazioni. “Il sentiment generale delle famiglie – scrive il Censis – si riassume con poche parole: incertezza, inquietudine, ansia”.
LE CONOSCENZE GIUSTE
Per il 51% degli italiani avere una buona istruzione è importante per riuscire nella vita, anche se più degli inglesi riteniamo anche sia importante avere le conoscenze giuste. “Tra i fattori più importanti per riuscire nella vita – spiega il Censis – il 51% richiama una buona istruzione e il 43% il lavoro duro, ma per entrambe le variabili la percentuale italiana è inferiore alla media europea, pari rispettivamente al 63% per l’istruzione (82% in Germania) e al 46% per il lavoro sodo (74% nel Regno Unito). In Italia risultano molto più alte le percentuali di chi è convinto che servono le conoscenze giuste (il 29% contro il 19% inglese) e il fatto di provenire da una famiglia benestante (il 20% contro il 5% francese). Il riferimento all’intelligenza come fattore determinante per l’ascesa sociale raccoglie il 7% delle risposte in Italia: il valore più basso in tutta l’Unione europea”.
CATITALISMO FAMILARE SOTTO ASSEDIO
L’incidenza degli investimenti fissi lordi sul Pil si è ridotta al 17,8%: il minimo dal dopoguerra. Si sono ridotti gli investimenti in hardware (-28,8%), costruzioni (-26,9%), mezzi di trasporto (-26,1%), macchinari e attrezzature (-22,9%). Nel rapporto si sottolinea tuttavia che «a una così accentuata flessione delle spese produttive, determinata dalla recessione e dalle aspettative negative, non ha corrisposto un analogo peggioramento dei conti delle imprese che ce l’hanno fatta». Dal 2008 a oggi il margine operativo lordo delle imprese si è mantenuto elevato e a tratti crescente.
«Questa discrasia tra risorse disponibili e ciclo declinante delle spese produttive non ha precedenti e appare inutile cercarne le cause nel razionamento del credito, visto che è in calo la stessa domanda di provvista finanziaria, mentre cresce la liquidità delle imprese (circolante e depositi)», rileva il
Censis. Se il grande capitalismo familiare italiano appare sotto assedio, con molti marchi ceduti ad aziende straniere e fasi travagliate di ridefinizione della governance interna, «resta una carta vincente per il Paese il micro-capitalismo di territorio». Ancora nel primo semestre del 2014 le esportazioni degli oltre 100 distretti industriali (che contribuiscono per più di un quarto del valore aggiunto manifatturiero del Paese) sono cresciute del 4,2%, in termini tendenziali, a fronte di un incremento (+1,2%) dell’export manifatturiero complessivo.
IL CAPITALE UMANO DISSIPATO
Un capitale umano «dissipato»: sono gli 8 milioni che tra disoccupati, inattivi e scoraggiati aspettano di essere «valorizzati e instradati» verso un mercato del lavoro per tradurre «il loro potenziale in energia lavorativa e produttiva».
POCA EUROPA
Crediamo poco nei loghi del potere europeo. Il 33% degli italiani ha fiducia nel Parlamento europeo, contro il 37% della media Ue. Per la Commissione europea la fiducia scende al 28% (32% media Ue) e per la Banca centrale al 22% (31% media Ue). I cittadini italiani ed europei, spiega il rapporto, “tracciano un profilo dell’Unione europea tutt’altro che positivo”. Ma mentre il 42% degli europei pensa che la propria voce conti in Europa, la percentuale scende al 19% tra gli italiani. Del resto su 700 lobby attive in ambito finanziario a Bruxelles, la presenza italiana è riconducibile a circa 30 organizzazioni. Un dato che, se confrontato con il Regno Unito (140), Germania o Francia, sembra confermare “la nostra scarsa capacità di incidere nelle fasi e nelle sedi strategiche di decisione”.
LA SOLITUDINE DEL SELFIE
L’uso dei nuovi media cresce con un ritmo decisamente accelerato. Il 63,5% degli italiani utilizzano internet. Di questi il 49% è utente dei social network con punte dell’80% nella fascia più giovane (14-29 anni). Mediamente si trascorrono su internet 4,7 ore al giorno. Di queste, 2 ore sono dedicate ai social network. Il numero di utenti che naviga tramite cellulare in un giorno medio (7,4 milioni di persone) ha ormai superato quanti vi accedono solo da computer (5,3 milioni). Tra le attività più intense sui social media emerge l’upload di foto e video personali. “La pratica diffusa del selfie – sottolinea il Rapporto – diviene così l’evidenza fenomenologica incontrovertibile della concezione dei media come specchi introflessi in cui riflettersi narcisisticamente, piuttosto che strumenti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi con l’altro da sé”. Nella società liquida perdiamo la fiducia, ma prosperano ego e narcisismo.