Leonard Berberi, Corriere della sera, 4 X 2017
Il rapporto Censis: la nuova Italia della comunicazione e dei media
Il rapporto Censis sulla percezione e sull’uso dei media nel Paese. Tra gli under 30 volano i social e Instagram raddoppia gli utenti. Giovani meno interessati alla laurea.
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Un Paese in piena frattura generazionale, senza più un paradigma sociale di riferimento, con scale di valori rovesciate tra genitori e figli, sempre meno interessato alla politica, che si informa attraverso i suoi propri canali — ma che continua ad affidarsi ai giornalisti competenti e all’informazione di qualità — ed è in piena transizione dal vecchio al nuovo contesto. Dove del «nuovo» non sono ancora chiari gli elementi costitutivi. Eccola l’Italia di oggi nella fotografia scattata dal 14esimo rapporto Censis sulla comunicazione che sarà presentato oggi. Una nazione «in cui la rivoluzione digitale ha compiuto il suo corso e ha dispiegato i suoi effetti», esordisce il dossier. E questo ha prodotto effetti anche sull’immaginario collettivo degli italiani, l’«insieme di valori, simboli, miti d’oggi che informano le aspettative, orientano le priorità, guidano le scelte, insomma definiscono l’agenda condivisa della società».
Tra tv e social
Da un punto di vista dei consumi mediatici la tv (in tutte le sue piattaforme) resta al primo posto (per il 95,5% degli italiani), anche se cede terreno, la radio tradizionale perde punti (59,1%), il telefono cellulare (86,9%) si avvicina ai valori della tv, mentre lo smartphone (69,6%) è il vero protagonista, avendo più che quadruplicato la sua quota in otto anni. Internet cresce (75,2%), ma a ritmi meno sostenuti e soprattutto grazie agli smartphone, che a loro volta trascinano WhatsApp, l’applicazione di messaggistica istantanea. Facebook (56,2%) e YouTube (49,6%) sono le piattaforme più popolari, Twitter non sfonda (13,6%), ma Instagram sì, tanto da raddoppiare gli utenti (dal 9,8% del 2015 al 21% di oggi). Si conferma il divario digitale tra 14-29enni e over 65enni. Grande attenzione sui servizi digitali audio (Spotify) e video (Netflix): gli abbonati sono ancora pochi (tra 10 e 11%), «ma rappresentano il veicolo principale del cambiamento che si sta verificando nel sistema generale dei media». I libri restano in una fase critica: 43 italiani su cento ne hanno letto almeno uno (di carta) all’anno, uno su dieci si è concentrato sull’e-book.
«Era biomediatica»
Tutti questi sono gli elementi dell’era «biomediatica», come la chiama il Censis, che ha trasformato l’immaginario collettivo. «Quest’ultimo definisce l’agenda sociale condivisa di un Paese», spiega Massimiliano Valerii, direttore generale del Censis. «Dopo la crisi delle grandi ideologie e delle forti narrazioni come l’Ue e la globalizzazione, questa è una nazione in transizione, frammentata, senza un’agenda sociale condivisa da una maggioranza, polverizzata da smartphone, social network e web, utilizzati sempre più per esprimere i propri interessi». «In dieci anni siamo passati da una dimensione verticale della comunicazione a una orizzontale, dove ognuno — dotato di telefonino e connessione Internet — pensa di poter produrre informazione», sottolinea Valerii. Ma restano delle certezze. Nelle tabelle del rapporto emerge l’importanza attribuita all’informazione. Perché, alla domanda su chi sia la figura che esercita più di tutte un’influenza sui fattori ritenuti centrali nell’immaginario collettivo, dopo genitori (31,9%) e persone frequentate abitualmente (13,2%) compare il giornalista competente (12,8%).
«Giovani meno interessati alla laurea»
La crisi economica del 2008 è stato il vero spartiacque, secondo Valerii. «Da quel momento il Paese ha perso l’innocenza, ha visto rompersi quel patto sociale che si basava sull’assunto per cui i giovani sarebbero stati meglio dei loro genitori. È successo l’opposto: i ragazzi oggi stanno peggio dei loro parenti e allora ecco la rottura con la realtà esistente». «Mi preoccupa, per esempio, lo scarso valore che viene dato al titolo di studio da parte dei giovani — aggiunge il direttore generale del Censis —: prima era il biglietto per accedere ai meccanismi di ascesa sociale, oggi non è così. Siamo nella fase del liberi tutti».