Luca Fazzi*, blog su Il Fatto Quotidiano, 13 IV 2022
Ucraina, invece di negoziare si grida alla battaglia. La politica si svegli prima dell’Apocalisse!
Non è del tutto chiaro quanto le opinioni pubbliche occidentali abbiano capito che stiamo andando diritti verso una terza guerra mondiale. Passo dopo passo il conflitto ucraino si è esteso e i governanti europei hanno intrapreso la via più sicura verso il suicidio. Il premier Mario Draghi si è distinto per solerzia, dimenticando che l’hitleriano slogan “l’unica difesa sicura è sempre l’attacco. Attaccate sempre” rimanda a funesti ricordi che mai più vorremmo diventassero realtà.
Di fronte allo slancio bellico del governo, si sarebbe dovuto aspettare uno stop dalle alte cariche dello Stato visto che mandando armi agli ucraini ha sancito nei fatti l’entrata in guerra dell’Italia, violando l’art. 11 della Costituzione che prevede il paese possa partecipare a un conflitto bellico solo in caso di difesa. Ma in una nazione i cui i massimi vertici Mattarella e Amato hanno più di ottanta anni, e il parlamento è svuotato di ogni potere da ormai più di due anni, forse non si può pretendere molto altro. Certo è che ogni giorno il conflitto mondiale si avvicina sempre più pericolosamente. Le grandi potenze si riarmano, le piccole nazioni europee idem, tutti mostrano i progressi fatti nel lancio di missili intercontinentali. Invece di negoziare si grida alla battaglia.
Che questa guerra sia stata dichiarata in nome della libertà non ci crede nessuno. Come scriveva Albert Camus, “il benessere dell’umanità è sempre l’alibi dei tiranni”. Putin è solo uno dei tanti dittatori che affamano e uccidono gli oppositori e solo uno tra i tanti politici che hanno invaso con le armi un paese straniero per motivi strumentali.
Se i governanti e gli affaristi che sostengono e spronano il conflitto per incassare profitti miliardari sono lanciati verso l’Apocalisse, non è detto però che le opinioni pubbliche siano dello stesso avviso. Anzi, tutti i sondaggi dicono che all’iniziale scetticismo si sta affiancando piano piano una salutare paura dell’apocalisse.
Fino a che si tratta di scegliere tra la pace e un condizionatore, per usare l’infelice espressione del gerontocrate Draghi, forse si potrebbe ancora discutere, posto che con il cambiamento climatico e le estati sempre più bollenti, fare restare senza aria condizionata una nazione con oltre tre milioni di over 85 equivarrebbe a causare una vera ecatombe. Ma se la alternativa è l’Ucraina o la vita, non ci sono dubbi che la maggior parte degli italiani e delle persone con la testa sulle spalle non avrebbero nessuna esitazione. Perché alla fine – Brecht insegna – dovrebbe essere chiaro a tutti che nelle guerre “è sempre la povera gente a pagare” e andare oltre con questo conflitto non può che portare a decisioni sempre più devastanti.
Molti pensano che nessun politico razionale darebbe l’ordine di lanciare bombe atomiche contro il nemico, pena la sua stessa distruzione. Ma la teoria delle decisioni ha da decenni messo in luce che gli esseri umani tutto sono fuorché razionali. La paura, la sottovalutazione del rischio in nome delle abitudini, l’umiliazione, l’errore fanno parte del comportamento quotidiano di ciascuno di noi e spiegano la grande parte delle decisioni prese per affrontare i problemi. Un Putin sconfitto magari con la Nato che entra in territorio russo che cosa farebbe persa ogni speranza di sopravvivenza? Perché dovrebbe fare la fine di Saddam senza portare nella tomba anche i suoi nemici? Oppure un Biden, preso da senilità, per lasciare memoria ai posteri del suo coraggio perché non dovrebbe andare oltre la linea rossa che separa la vita e la distruzione dell’umanità?
Fino a oggi i media hanno fatto accenni superficiali agli effetti di una guerra nucleare. Forse converrebbe che i cittadini si informassero bene per scoprire che un fungo atomico non è solo una fotografia da scambiarsi su Istagram o Facebook. Gli abitanti del nordest per esempio dovrebbero informarsi sul fatto che un attacco su Aviano in Friuli comporterebbe la scomparsa della vita umana in tutte le regioni confinanti nel giro di pochi giorni. Lo stesso vale per i residenti nel raggio di cento chilometri dalle basi Nato dislocate su tutto il territorio nazionale. Peggio andrebbe però per i sopravvissuti, perché la morte per radiazioni causa agonie dolorosissime di cui gli abitanti di Nagasaki e Hiroshima rimasti in vita dopo l’attacco nucleare americano possono offrire drammatica testimonianza.
L’unico auspicio in questo scenario di follia collettiva è che qualche partito, non fosse altro che motivi elettorali, faccia propria la bandiera del neutralismo e faccia cadere il governo del premier più pericoloso che la storia d’Italia abbia mai avuto. La ragione nobile è che il paese potrebbe rompere il fronte del bellicismo europeo e svolgere una funzione di mediazione nella guerra, magari facendosi seguire velocemente da altre nazioni.
Una motivazione a cui siamo sicuri la maggior parte degli elettori italici sarebbe molto più sensibile può essere riassunta però più efficacemente nella seguente domanda: perché dobbiamo morire per l’Ucraina? Non per aiutare gli ucraini che con la corsa agli armamenti sono usati solo come carne da macello per interessi economici e geopolitici innominabili. Certo nemmeno per difendere l’Europa dall’assalto di Putin che non ha alcuna convenienza ad aggredire un avversario Nato più forte di lui nella guerra convenzionale. Rimarrebbe come ratio il sacrificio per aiutare le banche e gli investitori che scommettono sulla vendita delle armi. Sinceramente però non pare una buona ragione per morire.
Speriamo che, almeno per amore del proprio tornaconto, qualche politico si svegli e faccia saltare il banco velocemente.
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* Docente in Sociologia presso l’Università di Trento