Adriano Bonafede, Huffington Post, 13 IX 2020
Franco Bruni: “il potere economico mondiale vuole un ritorno dell’inflazione”
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Intervista al prof. della Bocconi: “La maggior parte de cittadini avrebbe da perdere”
Tornerà l’inflazione? E per chi sarà un bene e per chi invece un male? In questi giorni molti operatori tornano a interrogarsi sulla possibilità che dopo tanti anni di tassi a zero o sottozero e di prezzi stabili o calanti, possa ricominciare la giostra dell’inflazione. Ad accendere la miccia è stato il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, che ha reso nota la nuova politica della banca centrale americana: lasciare che nei prossimi mesi o anni l’inflazione salga oltre il limite considerato fisiologico, ovvero il 2 per cento, senza intervenire: E già le aspettative degli operatori, misurate da precisi indici (il 5-Year5-Year Forward Inflation Expectation Rate, che misura le attese a 5 anni), sono cresciute sia in Usa che in Europa. “Sembra quasi che tutti attendano che torni l’inflazione per risolvere se non tutti, molti problemi”, spiega in questa intervista Franco Bruni, professore emerito all’Università Bocconi di Milano e vicepresidente dell’Ispi. “Ma l’inflazione è una brutta bestia, soprattutto quando – come dimostrano le esperienze del passato – se ne perde il controllo, cosa che in certe circostanze può avvenire facilmente. Eppure ci sono molte forze potenti nel mondo che spingono per questa soluzione, ma diciamolo con chiarezza: la maggior parte dei comuni cittadini avrebbe soltanto da perdere da un’inflazione accentuata, superiore al 2-3 per cento, che infatti è il limite che si sono date le banche centrali Usa ed europee”.
Professor Bruni, quali sarebbero le potenti forze che spingono per il ritorno dell’inflazione?
“Tutti i grandi debitori, il cui debito in termini reali diminuirebbe automaticamente se i prezzi aumentassero. Per fare un esempio semplice, se faccio un debito di 100 e dopo un anno il potere di acquisto di 100 euro si è svalutato del 5 per cento, perché i prezzi sono del 5% più alti, come debitore sono contento. Ovviamente i creditori no. I grandi debitori sono tutti i governi, che tra l’altro adesso hanno anche dovuto ulteriormente aumentare il loro debito pubblico per far fronte al Covid; e molti intermediari bancari e finanziari. Insomma, come vede, tutti i grandi protagonisti del potere economico mondiale”.
Se governi e finanzieri in tutto il mondo sono così interessati all’inflazione, perché in questi anni i prezzi sono rimasti sostanzialmente fermi? Eppure le banche centrali, comprese la Federal Reserve e la Bce, ci hanno provato in tutti i modi in questi anni, abbassando i tassi e immettendo liquidità nel mercato per aiutare un’economia tendenzialmente stagnante e far rialzare l’inflazione.
“Essendo stati anni di crescita difficile, i prezzi non sono saliti come ci si poteva attendere, come le banche centrali desideravano. L’associazione fra crescita e inflazione non è più come una volta. Anche per questo si sono rivelate inutili tutte le mosse delle banche centrali che anzi hanno creato altri problemi”.
Cos’è cambiato?
“Ci sono almeno due fattori che hanno modificato lo scenario. La globalizzazione è il primo. Glielo spiego molto semplicemente: è difficile far salire i prezzi da una parte del mondo se qualcuno, da un’altra parte, li fa scendere. L’inflazione è diventata un fenomeno mondiale, poiché tutti importano ed esportano nel mondo. Se ci sono cause specifiche d’inflazione in un paese o in un’area, l’interconnessione mondiale le smussa rapidamente. Faccio un esempio: se l’area Euro riuscisse a far salire i prezzi, basterebbe la loro discesa nell’Europa dell’Est a smussare l’inflazione”.
E gli altri fattori?
“Il secondo è l’ambiente concorrenziale, favorito dalla tecnologia, soprattutto l’informatica. Basta pensare a com’è facile confrontare i prezzi su Internet. Oggi tutti nel mondo sentono come mai in precedenza la pressione concorrenziale, dal piccolo negozio di Milano al produttore di semiconduttori in Cina al professionista di Bari, tutti tengono sotto controlli i prezzi, tutti cercano di fare prezzi più bassi. Ci sono in giro nuove strategie concorrenziali, anche sui prezzi e anche quando la domanda tira bene”.
Insomma, non c’è niente da fare? Nonostante la nuova intenzione della Fed l’inflazione non tornerà?
“Non credo sarà facile alzarla se le cose rimangono così, a meno che non cambi lo scenario”.
E come?
“Il Covid potrebbe accelerare alcune tendenze già in atto verso il ritorno della situazione internazionale a livello di pre-globalizzazione. Se si bloccano produzioni, se tornano le barriere per i movimenti di capitale e delle persone, se si riduce l’interscambio delle merci, se si interrompe il progresso tecnologico, allora potrebbe esserci un ritorno al passato. In un mondo de-globalizzato l’inflazione potrebbe risalire”.
Allo stato attuale questo sembra tuttora uno scenario improbabile. Ma invece una cosa non si capisce: l’abbassamento dei tassi e l’immissione di liquidità fatti in questi anni non sono stati in grado di far risalire i prezzi, ma dove sono finiti?
“A rinforzare un altro tipo d’inflazione, che c’è già, quella dei titoli in Borsa, di alcuni prezzi immobiliari, dei cosiddetti “prezzi delle attività”. Il che non è affatto positivo. Come si spiega che le Borse salgano proprio quando i segnali dall’economia sono così negativi come in questi ultimi mesi? Negli Stati Uniti ci sono istituti finanziari, e non solo banche, che raccolgono a tassi praticamente a zero e finanziano l’infinanziabile, comprando titoli di società di tutti i tipi, anche “bollite” o in traballanti Paesi in via di sviluppo. Vorrei far capire una cosa spesso trascurata: quando i tassi sono troppo bassi, siccome non si possono comprare titoli sicuri a un buon rendimento, si tende a spostarsi su titoli ad alto rischio senza una vera ragione se non quella di far rendere una liquidità disponibile. Ma ormai pure le banche centrali stanno cominciando a capire che anche il livello dei prezzi dei titoli azionari e di altre attività va tenuto sotto osservazione per decidere la politica monetaria”.
Ma esiste una crescita dei prezzi “buona”, che serve allo sviluppo?
“Sì. Come raccontano le banche centrali nei loro sacri testi, l’economia funziona bene quando salgono i prezzi dei beni che sono “in domanda” rispetto a quelli dei beni poco richiesti. Questo meccanismo funziona meglio quando i prezzi salgono un po’: questa è la ragione per cui un 2 per cento d’inflazione è considerato positivo dalle banche centrali. Ma se supera di molto questo livello sono preponderanti gli effetti negativi”.
Quali sarebbero?
“Come le dicevo prima, tutti coloro che sono debitori si avvantaggiano da un’alta inflazione perché il loro debito scende senza che facciano nulla. L’inflazione è una tassa implicita sul risparmio. Inoltre pensiamo a tutti coloro che hanno redditi da lavoro dipendente o da pensione, compresi i giovani, che ne sarebbero sfavoriti. In generale è avvantaggiato da un’alta inflazione chi ha il potere di muovere e anticipare il rialzo dei prezzi: commercianti, produttori con forte potere di mercato, immobiliaristi, speculatori che comprano a prezzi bassi per rivendere a prezzi più alti”.
Lei ha citato i giovani. Molti di questi, nati dalla metà dagli anni 80 in poi, non sembrano avere alcun timore dell’inflazione, forse non comprendono neppure bene cosa sia e quali pericoli racchiuda. È così?
“È proprio così. Quando all’Università si parla della storia economica italiana degli anni 70 e 80, con l’inflazione a due cifre, gli studenti fanno fatica a comprenderne tutte le implicazioni. Stanno a sentire con curiosità, ma come ascolterebbero una favola interessante ma che poco li riguarda; noi, che c’eravamo, ne siamo invece giustamente spaventati”.
Questa sottovalutazione dei pericoli di un’inflazione fuori controllo emerge anche quando, a livello politico, si parla di fuoriuscita dall’Euro come di una panacea per i nostri mali. Ma l’uscita dall’Euro non implicherebbe tout court, prima di qualsiasi altra cosa, una corsa dell’inflazione?
“Sì certo. E i primi a essere colpiti dalla spirale inflazione-svalutazione sarebbero i pensionati e tutti i redditi fissi. Ma anche, è bene ricordarlo, tutti i risparmi, soprattutto delle persone più semplici che non hanno strumenti per proteggere i soldi accumulati, come avvenne del resto negli anni Settanta e Ottanta”.
Meglio dunque oggi che allora?
“Assolutamente sì. La situazione attuale è molto migliore di quella degli anni Settanta. Era un mondo brutto: i prodotti nazionali perdevano competitività all’estero, costavano di più perché il cambio si svalutava: l’alta inflazione alzava molto i tassi di interesse, distorceva il tasso di cambio e di tanto in tanto occorrevano svalutazioni. E per evitare la fuga dalla lira che si svalutava c’erano limitazioni alla libera circolazione dei capitali, era un problema procurarsi la valuta anche per una vacanza breve all’estero. Si creavano ostacoli anche al commercio internazionale di beni e servizi e a volte si arrivava a interventi statali di blocco dei prezzi. Le grandi imprese con attività anche all’estero erano privilegiate e si finanziavano più a buon mercato (si parlava di “lira Fiat” ad esempio) mentre le Pmi non riuscivano a competere finché non c’era una nuova svalutazione. Per quanto riguarda i salari, c’era un assurdo sistema di compensazione dall’inflazione, il “punto unico di contingenza” che difendeva solo i salari più bassi mentre sacrificava le classi medie. Ed erano sfavoriti tutti coloro che tenevano i soldi in banca, soprattutto i piccoli risparmiatori”.
Professor Bruni, ma questo “brutto” scenario potrebbe ripetersi in futuro? O le banche centrali saranno in grado di tenere sotto controllo un’eventuale ripresa dell’inflazione entro limiti considerati fisiologici?
“Non c’è alcuna garanzia che un domani l’inflazione non cresca troppo, il pericolo è sempre in agguato perché le variabili sono troppe e possono sempre sfuggire di mano. La ripresa dell’inflazione potrebbe essere aiutata anche dalla combinazione dell’eccesso di liquidità creata da politiche monetarie espansive con blocchi alla produzione e al commercio dovuti alla pandemia. Inoltre, c’è un altro fattore: la scintilla dell’inflazione potrebbe essere innescata dalle aspettative degli operatori, che sono oggi più importanti del tasso d’inflazione stesso. Queste aspettative potrebbero innescare una paura montante, con tassi d’interesse in risalita prima ancora dei prezzi, arresto degli investimenti e Borse che scendono”.