Edi Morini, Valledaostaglocal, 4 XI 2021
NICOLA E BART
Nel 2021 ricorre l’anniversario del secondo processo a Sacco e Vanzetti. Come ogni condanna ingiusta, anche questa tra- gedia, al di là di ogni diversità politica, dimostra che non ci sono giudici terreni infallibili e l’atrocità della pena capitale
Ferdinando Nicola Sacco (Torremaggiore, 22 aprile 1891 – Charlestown, 23 agosto 1927) e Bartolomeo Vanzetti detto in famiglia Tumlìn (Villafalletto – Cn – 11 giugno 1888 – Charlestown, 23 agosto 1927) erano due anarchici italiani immigrati negli Stati Uniti. Fedeli ai loro ideali, lasciarono gli Usa trasferendosi in Messico quando scoppiò la prima guerra mondiale, per non dover combattere. Rientrarono a conflitto terminato nel Massachusetts, ma le ritorsioni nei confronti dei pacifisti, ritenuti sovversivi, non tardarono a concretizzarsi.
Il loro amico, il tipografo, editore e sindacalista Andrea Salsedo, originario di Pantelleria, fu trovato morto, sfracellato a terra davanti al grattacielo di New York che ospitava al quattordicesimo piano la sede della Fbi, dove Salsedo era recluso da troppo tempo senza ragione, insieme a Roberto Elia. Il caso fu archiviato come suicidio, ma Nic e Bart, insieme a molti altri, protestarono in memoria del loro compagno, dubitando di quella versione. Pochi giorni prima di morire, Andrea aveva chiesto a Bart un aiuto concreto per garantirsi una difesa legale affidabile, di cui non usufruiva al momento.
Nicola e Bart vennero ingiustamente arrestati, processati due volte e giustiziati sulla sedia elettrica negli Usa degli anni venti, una nazione terrorizzata da ogni anelito libertario, innocenti stroncati dopo interminabili anni di inutile calvario forense, con l’accusa di aver ucciso a scopo di rapina un contabile e una guardia del calzaturificio «Slater and Morrill» di South Braintree.
La loro colpevolezza apparve subito dubbia; ma a nulla valse la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros, che scagionava ampiamente i due italiani, dichiarandosi complice del crimine. Furono vittime di pesanti pregiudizi politici e pare dell’ambizione sfrenata di un giudice, nonché delle palesi contraddizioni e lacune degli avvocati incaricati di difenderli, peraltro lautamente pagati grazie alle raccolte fondi attuate in tutto il mondo.
Sacco, provetto ciabattino, era sposato con Marianna Rosina Zambelli e padre di due figli, Ines e Dante. Proveniva dalla provincia di Foggia, dove i suoi familiari erano agricoltori, produttori di olio e di vino. Si impegnava molto come operaio in una fabbrica di scarpe. Aveva una casa con giardino. Vanzetti, dopo diverse esperienze professionali, vendeva pesci. Era scapolo. In Piemonte, dove era stato pasticciere, aveva lasciato due sorelle, Luigina e Vincenzina, il fratello Ettore e il babbo. Era immigrato a soli vent’anni in seguito alla morte della mamma, Giovanna Nivello, a cui voleva particolarmente bene: quella dolorosa e prematura dipartita lo aveva scosso nel profondo.
La famiglia Vanzetti era autorevole, benestante e stimata. I parenti di Bart avevano lasciato Savigliano per Villafalletto (Cn). Disponevano di un esercizio commerciale per la rivendita del vino e di un pergolato. Gli avventori potevano sedersi a tavolino e degustare i prodotti. Più avanti optarono per un negozio di alimentari. Bartolomeo era un giovane istruito, brillante autodidatta, fermamente cattolico come tutti i suoi cari, impegnato nella vita parrocchiale: suonava e cantava volentieri durante le funzioni e bisticciava con chiunque biasimasse il cattolicesimo. Aveva lavorato con successo come pasticciere a Cuneo, a Cavour , a Courgnè, a Torino. Dopo la morte della mamma, uccisa dal cancro, tentò il suicidio.
In quel periodo difficile, arrivò a Villafalletto Giacomo Caldera: cuoco emigrato felicemente a New York, tornava in patria per sposarsi e ripartire subito dopo. Parlò a Bart delle meraviglie del Nuovo Mondo e lo convinse a tentare l’avventura dell’emigrazione, come aveva fatto suo padre per un breve periodo molti anni prima. In terra straniera, Bartolomeo conobbe la triste realtà dello sfruttamento, del razzismo, della sofferenza degli ultimi, delle pesanti discriminazioni riservate agli stranieri. Lavorò come lavapiatti negli hotel, poi nuovamente come pasticciere e infine, quando venne arrestato, da tre mesi disponeva di un carretto per vendere il pesce. Il suo cuore generoso reagiva sempre con vigore alle ingiustizie e, un passo dopo l’altro, aderì all’anarchia.
Nicola e Bart erano conosciuti e stimati come lavoratori e cittadini onesti e corretti. Superando ogni diversità, Benito Mussolini si adoperò invano presso il governo statunitense perché venissero rilasciati e scagionati. Nic e Bart subirono due processi senza sperimentare una difesa legale equa e furono ammazzati sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927 nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham. Prima della loro barbara esecuzione, moltissime persone animarono una manifestazione popolare pacifica che si protrasse per oltre dieci giorni. La polizia americana sparò, pare, sulla folla inerme. In settembre, Luigina riportò in patria un’urna che conteneva parte delle ceneri dei due sventurati amici. A cinquant’anni esatti dalla loro morte, il 23 agosto 1977, Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, riconobbe ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilitò completamente la memoria dei due sfortunati amici. Da allora, il 23 agosto è il Sacco e Vanzetti Memorial Day.
Il giorno successivo alla morte di Nic e Bart, il governo statunitense dell’epoca tentò di cancellare ogni ricordo di quell’abuso, distruggendo una gran mole di documenti e bruciando le pellicole inerenti al caso. Anche il filmato relativo al corteo funebre che accompagnava i due anarchici, girato lungo le vie di Boston, sparì per decenni. Dobbiamo soprattutto a Luigi Botta, noto scrittore, insegnante e giornalista piemontese, lo studio continuativo del caso, a cui ha dedicato con passione e palpitante umanità numerosi libri circostanziati e tantissimi articoli pubblicati anche oltre frontiera. Buona parte delle notizie riportate in questo articolo le devo a lui. Lo ringrazio e mi scuso per eventuali errori.
La cantante Marina Ferrari di Torre Pellice (To), di fama internazionale, ha dedicato ai due infelici una ballata suggestiva e commovente cantata in tre lingue. Luigina e Vincenzina Vanzetti, sorelle di Bart, cattolicissime, e Rosa Zambelli, la battagliera vedova bresciana di Nic, più politicizzata, lottarono civilmente nel corso della loro intera esistenza per tramandare e riabilitare la memoria dei loro congiunti. Il testimone è passato ora ai discendenti.
Luigina (07/03/1891 – 19/01/1950) aveva raggiunto il fratello in Usa, imbarcandosi a Le Havre e viaggiando in modo avventuroso con i mezzi di quei tempi pur di rivederlo mentre stava per morire. Come il babbo, Giovanni Battista, sarebbe morta prematuramente di crepacuore, stroncata non soltanto dalla malagiustizia, ma soprattutto dal clima ostile creatosi in paese. Il fratello Ettore ricordava quanto Luigina piangesse, soprattutto quando riceveva la visita di persone giunte da lontano, che avevano condiviso la lotta impari per strappare alla morte Nic e Bart. Il babbo le aveva chiesto di non rievocare più quei fatti dolorosi e Luigina, che si dedicava all’attività casalinga e familiare, tenne quel dolore lacerante chiuso nell’anima fino a morirne.
La riabilitazione di Nic e Bart si deve soprattutto a Vincenzina (26/01/1903 – 20/07/1994). Aveva soltanto cinque anni quando il suo Tumlìn era partito per l’America e non lo avrebbe mai più riabbracciato. Ma dopo la morte di Luigina, avvenuta nel 1950, prese in mano la situazione, lottando contro il pregiudizio che tuttora condanna ipocritamente chiunque abbia a che fare con la giustizia terrena per qualsivoglia ragione: ”Se li hanno arrestati, qualcosa avevano fatto!”. Vincenzina, che aveva conservato lettere e documenti tramanati da Luigina, dimostrò più di qualsiasi altro, che Nic e Bart erano colpevoli soltanto di essere italiani e anarchici in terra straniera. Luigina e Vincenzina non si sposarono mai.
“Vincenzina era una donna energica, moderna, aperta – ricorda Annita Olivero -. Lavorò per 35 anni all’ufficio anagrafe di Villafalletto, in anni in cui le donne non avevano un grande ruolo sociale. Si trasferì a Cuneo all’inizio degli anni ‘70, lontana dal «guscio» e dalla mentalità di un paesino di provincia. A lei si deve la borsa di studio per anni assegnata agli studenti più meritevoli della nostra scuola media, grazie a lei la stessa scuola si dotò del primo computer per la didattica. Soprattutto solo grazie a lei la memoria di Sacco e Vanzetti fu riabilitata”.
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La foto in alto è linkata al brano “Here’s to You” (E. Morricone – J. Baez), colonna sonora del film di G. Montaldo dedicato alla vicenda nel 1971 [Nota dello Studio]