Paolo Gallori, Repubblica, 4 XII 2014.
Sand Creek, 150 anni fa: i nativi americani onorano due soldati che non vollero sparare.
Quattro giorni di celebrazioni in Colorado per i discendenti delle tribù Arapaho e Cheyenne protagoniste di una delle pagine più buie nella storia della ‘conquista del West’. Al Riverside Cemerty di Denver l’omaggio al capitano Soule ed al tenente Cramer, i due ufficiali che furono arrestati per aver detto no quando il colonnello Chivington ordinò lo stermini di un campo affollato di donne e bambini. Una vicenda cantata da Fabrizio De Andrè e Massimo Bubola
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DENVER – “Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte / c’erano solo cani e fumo e tende capovolte / tirai una freccia in cielo per farlo respirare / tirai una freccia al vento per farlo sanguinare / la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek… Ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek“.
Grazie a Fabrizio De Andrè e a Massimo Bubola, all’epoca stretto collaboratore del grande cantautore genovese, dal 1981 tanti italiani sanno che qualcosa di terribile accadde lungo le rive del Fiume Sand Creek, in Colorado. Era il 29 novembre del 1864, la fratricida Guerra di Secessione volgeva al termine, all’orizzonte la vittoria degli abolizionisti del Nord, quando la furia del 3° Reggimento dei Volontari del Colorado del colonnello John Milton Chivington si abbattè sui Cheyenne e gli Arapaho accampati su un’ansa del fiume, trucidandone 200, per oltre due terzi donne e bambini inermi.
In questi giorni i discendenti di quelle tribù ricordano i 150 anni esatti trascorsi da quel massacro. Celebrano le loro vittime, ma anche chi, quel giorno, sull’altro fronte, ebbe il coraggio di dire no. Infilandosi tra le pieghe della guerra civile, due ufficiali, il capitano Silas Soule e il tenente Joseph Cramer, si rifiutarono di partecipare alla scrittura di una delle pagine più cruente dell’epopea americana. E’ a loro che i nativi americani, riunitisi per quattro giorni dove il dramma si consumò, una località oggi chiamata Eads, circa 300 chilometri a sud-est di Denver, hanno rivolto il pensiero. Fino a rendere onore ai due ufficiali con una visita alle loro tombe, al Riverside Cemetery della capitale del Colorado.
A caricare di valore e umanità il diniego del capitano Soule e del tenente Cramer è il fatto che i volontari di quel reggimento fossero uomini assoldati con il preciso compito di massacrare quanti più indiani possibile, per far “rispettare” il proclama del governatore Evans che esortava la popolazione a cacciarli ed eliminarli. In particolare quelli che, per diffidenza verso i bianchi o per semplice ignoranza, non avevano obbedito all’ingiunzione con cui nell’estate del 1864 Evans aveva ordinato alle tribù di insediarsi nei dintorni di Fort Lyon, in Colorado.
Fu una lunga estate di schermaglie, durante la quale gli indiani ebbero per primi l’occasione di fare molto male al nemico. Ma si trattennero, perché convinti di poter trattate un accordo di pace con le autorità. Un capo cheyenne, in particolare, Pentola Nera, che desiderava fortemente la pace e, dietro assicurazione che nulla sarebbe accaduto, obbedì all’ordine di accamparsi lungo il Sand Creek, poco lontano da Fort Lyon. Alla sua tribù si unì quella degli Arapaho del capo Mano Sinistra. In quell’ansa dove il fiume ha la forma di un ferro di cavallo si stabilirono in 600, tra Cheyenne e Arapaho.
Il giorno dell’attacco, la maggior parte dei maschi adulti dell’accampamento si trovava a decine di chilometri “sulla pista del bisonte”. La fiducia nei bianchi era tale che all’alba di quel 29 novembre del 1864 la piccola comunità indiana scambiò il rimbombo del terreno calpestato dagli zoccoli del 3° Reggimento proprio per una mandria di tatanka in rotta di collisione con il villaggio. Quando il pericolo mostrò il suo vero volto, era ormai troppo tardi. E nell’accampamento fu l’inferno. Alla vista dei soldati che arrivavano al galoppo, le donne e i bambini corsero via tra le tende, mentre i pochi uomini d’istinto andarono a recuperare le loro armi.
Il capo Pentola Nera cercò ancora di rassicurarli, i soldati non avrebbero fatto loro del male. E attese l’arrivo del 3° Reggimento davanti alla sua tenda, dove aveva piantato una bandiera dell’Unione in cima a un palo.Nonostante gli accordi, il colonnello Chivington fece circondare l’accampamento e incurante di quella bandiera diede l’ordine di attaccare. Alla fine, i pochi sopravvissuti conservarono la vita solo perché il 3° Reggimento non era ben addestrato, composto com’era di un’accozzaglia di mercenari, spesso “caricati” a whisky. Nel suo rapporto ufficiale, Chivington scrisse di aver perso 9 uomini, 38 i feriti. Molti furono vittime del fuoco amico.
Capo Pentola Nera riuscì a salvarsi. Dopo una notte passata all’addiaccio, uscì dal dirupo in cui si era riparato e guidò ciò che restava della sua gente verso est, in una dolente marcia per ricongiungersi con i guerrieri lontani, sulle tracce del bisonte. Tra mille sofferenze, a piedi, seminudi e senza cibo. “Per 80 chilometri sopportarono il gelo dei venti, la fame e i dolori delle ferite, ma alla fine raggiunsero il campo di caccia”. La notizia del massacro di Sand Creek corse veloce tra le nazioni Cheyenne, Arapaho, Sioux, assieme alla promessa della vendetta effimera, che arrivò solo dodici anni dopo tra le colline di Little Big Horn, consegnando il generale Custer alla leggenda. Ma la memoria dei nativi americani per 150 anni ha conservato anche i nomi di Soule e Cramer.
Il capitano Soule, in particolare, il giorno del massacro aveva ordinato ai suoi uomini di attraversare l’accampamento senza fare fuoco. Il colonnello Chivington lo accusò di codardia. Soule e altri sei uomini furono arrestati. Ma il capitano ebbe il coraggio di denunciare tutto e riuscì a portare il colonnello Chivington davanti a una commissione d’inchiesta. Il Congresso avviò un’indagine formale, ma il capitano Soule non portò a termine la sua testimonianza: una settimana dopo il rilascio fu assassinato a Denver. Non aveva compiuto 26 anni.
Il colonnello Chivington lasciò l’esercito e scampò così al giudizio della Corte Marziale. Ma le sue ambizioni politiche annegarono presto nello sdegno che gli americani provarono nell’ascoltare un giudice dell’esercito affermare formalmente che “Sand Creek era stato un atto di profonda codardia e una strage perpetrata a sangue freddo, un gesto sufficiente a coprire i colpevoli di infamia indelebile, e nel contempo, a suscitare indignazione in tutti gli americani”. Qualcuno, il 29 novembre del 1864, aveva salvato anche l’uomo bianco.