Intervista di Stefania Medetti, Repubblica, 15 I 2014.
La vita va troppo veloce? Ecco come rallentare
La tecnologia dovrebbe liberare le nostre giornate. Ma spesso accade che ci intrappoli in una corsa che non riusciremo mai a vincere. Lo spiega Mark C. Taylor, professore della Columbia University, che offre un’occasione per cambiare marcia e per non essere più travolti dall’ossessione della velocità.
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Fast food, fast fashion, high-speed internet: l’economia delle “24 ore su 24” logora la vita, le relazioni e mette in discussione l’esistenza dell’intero pianeta. Fresco di stampa con il saggio “Speed Limits: where time went and why we have so little left”, Mark C. Taylor, chairman del department of religion della Columbia University, invita a riprendere in mano le redini della propria esistenza.
Perché la tecnologia ci fa sentire come se non avessimo tempo?
“Le innovazioni che dovrebbero liberarci e farci guadagnare tempo, in realtà, ci rendono schiavi, perché la tecnologia dei media e delle telecomunicazioni è particolarmente invasiva ed erode i confini fra lo spazio pubblico e quello privato, fra il lavoro e la vita domestica. Quando si è collegati 24 ore su 24, sette giorni a settimana ogni giorno dell’anno, si è sempre reperibili e non si può mai fare una pausa”.
Quali ragioni, dunque, ci impediscono di rallentare?
“Ce ne sono diverse. La prima ha a che fare con il fatto che i media elettronici creano dipendenza. I neuroscienziati hanno scoperto che alcune delle aree del cervello che si attivano quando le persone sono online sono le stesse coinvolte nel caso di dipendenza da alcool e da droghe. In secondo luogo, il sistema economico neoliberale istituito da Reagan e dalla Thatcher è cresciuto fino a diventare una cultura dell’ansia che prospera sull’eccesso di competizione. Negli Stati Uniti, la gente fruisce solo di metà delle vacanze che ha a disposizione, perché teme di perdere il proprio posto di lavoro. Infine, c’è stato un cambiamento sul fronte dello stato sociale del tempo libero. In passato, lo stato sociale di una persona era misurato da quanto poco lavorasse, oggi invece è misurato da quanto lavora. Se una persona non è impegnata tutto il tempo, gli altri sono portati a pensare che non sia né importante né indispensabile”.
Nel suo saggio, dimostra che la velocità impatta su di noi in modo psicologico, economico, culturale e ambientale. Può spiegarci brevemente come?
“Da un punto di vista psicologico, la velocità crea un’ansia pervasiva. Inoltre, i media digitali che funzionano alla velocità della luce creano uno stato di distrazione in cui la capacità di concetrazione e la riflessione diventano difficili, se non impossibili. Lo vediamo nella vita dei bambini che sono i più toccati dagli effetti negativi della velocità. Economicamente, la velocità accentua l’ineguaglianza. Infatti, abbiamo due economie che operano a velocità differenti: l’economia reale che tratta prodotti e servizi e la finanza, che crea ricchezza scambiando beni virtuali. Per quanto la prima possa correre, non riuscirà mai a raggiungere la capacità di generare ricchezza dei trader di Wall Street. La velocità trasforma anche la cultura: come insegnante, mi accorgo del fatto che gli studenti non leggono e non scrivono più come una volta. Quando la maggior parte di quello che una persona legge si limita a 140 caratteri, anche il modo in cui la mente funziona si trasforma. Infine, ci sono gli effetti a livello ambientale: la rete, il cloud, la realtà virtuale hanno bisogno di infrastrutture ed energia per funzionare. Il sistema economico non può continuare a espandersi a una velocità crescente senza distruggere la vita da cui dipende”.
In che modo il nostro approccio al tempo cambia le relazioni?
“Lo sviluppo di quello che chiamo ‘cultura del network’ ha prodotto risultati inattesi. La personalizzazione delle informazioni ha intrappolato le persone in ‘bolle’ che impediscono loro di entrare in contatto con chi non ha gli stessi interessi. Anche il fatto che le comunicazioni interpersonali face-to-face siano sostituite da email, sms e social media stanno trasformando le relazioni fra le persone in modo deleterio: c’è qualcosa che non va in un mondo in cui una persona ha centinaia di ‘amici’ su Facebook e pochi, se non nessuno, nella vita reale che, dopotutto, è quello che conta. Infine, il carattere invasivo della tecnologia distrugge la privacy. Nell’era della sorveglianza, tutto quello che una persona scrive o dice può diventare pubblico e questo impatta sulla possibilità di comunicare francamente e onestamente”.
È d’accordo sul fatto che le persone che soffrono di più del nostro rapporto con il tempo sono i nostri figli?
“Nel corso della mia carriera nelle scuole e nelle università più prestigiose, ho notato dei cambiamenti negli studenti. Il clima di instabilità economica ha aumentato la preoccupazione dei genitori sul futuro dei propri figli e, nel tentativo di garantirgli un vantaggio competitivo, programmano tutto il loro percorso educativo e poi continuano a seguirli per assicurarsi che siano produttivi. Quando arrivano al liceo, gli studenti hanno imparato come studiare, ma hanno troppa paura per assumersi dei rischi e hanno perso ogni creatività. I ragazzi con un programma scolastico sovrastrutturato non imparano come giocare e sembrano molto più vecchi della loro età. È importante ricordare che il gioco non è una frivola perdita di tempo, ma è un modo per fornire all’immaginazione il tempo per fiorire”.
Infine, può darci cinque suggerimenti da applicare nelle nostre giornate per non essere travolti dall’ossessione per la velocità?
“Leggete cinque libri impegnativi ogni anno e prendete note a mano. Resistete al desiderio di comprare cose nuove. Ritagliatevi un’ora alla settimana per sedervi da soli in silenzio a riflettere. Preparate la cena, sedetevi a mangiarla al tavolo e parlate della vostra giornata con la vostra famiglia. Ogni volta in cui prendete una decisione importante, immaginatevi di vederla dal punto di vista che potrete avere alla fine della vostra vita”.