Eugenio Occorsio, La Repubblica, 7 gennaio 2023 *
Il Nobel Stiglitz contro Fed e Bce: “Questa inflazione non si combatte con la loro cura da cavallo”
“Le banche centrali stanno usando le armi sbagliate e finiranno per provocare recessione o per accentuare il rallentamento delle economie”, dice l’economista in un in’intervista ad Affari&Finanza
“Esistono fattori negativi oggettivi a partire dalla guerra in Ucraina e ora dalla travolgente crisi Covid cinese, però l’Occidente è piegato da un equivoco di fondo: che per combattere l’inflazione occorra una massiccia dose di aumenti dei tassi. Niente di più sbagliato e controproducente”. Controcorrente Joseph Stiglitz, il guru della Columbia University che fra un mese compie ottant’anni.
Da capo economista della Banca Mondiale negli anni 90 quando a presiederla era un sacerdote del laissez-faire (che lui chiama “fondamentalisti del libero mercato”) come James Wolfensohn, fino a capo dei consiglieri economici di Bill Clinton, altro incarico che abbandonò bruscamente quando il presidente dem non si dimostrava abbastanza grintoso nel confrontarsi con i baroni di Wall Street. Proprio questa sua libertà di pensiero, e il fatto che il più delle volte ha avuto ragione nel medio termine, gli ha fruttato nel 2001 il Nobel per l’Economia.
Professore, ci dà l’interpretazione autentica dell’attuale momento economico?
“L’elemento dominante è ovviamente l’inflazione, con la strenua battaglia che contro di essa hanno intrapreso le banche centrali: Washington, Francoforte, Londra, ora perfino Tokyo. Senonché in nome di questa battaglia, le banche stesse stanno provocando una recessione, o peggiorando il rallentamento. La lotta contro l’inflazione si combatte con le armi sbagliate”.
Cosa c’è di sbagliato nella terapia adottata?
“Tutto. A partire dall’analisi. Le economie del mondo libero rallentano, com’è inevitabile in presenza di una guerra irresponsabile come quella che muove la Russia, e anche di enormi opacità da parte cinese. I prezzi salgono però da molto prima dell’invasione, e ora stanno di nuovo scendendo, magari più lentamente di come sarebbero scesi se la guerra non ci fosse stata, ma con una dinamica calante naturale”.
Sia la Fed che la Bce sono state accusate di essersi accorte in ritardo dell’inflazione.
“E quello è stato il primo errore. Ma il secondo e più grave è stato quest’attacco tardivo e frontale che rischia di avere impatti devastanti. Si dice, per motivare questa corsa selvaggia al rialzo, che bisogna recuperare al più presto il 2%, ma mi sembra un ragionamento farneticante“.
Lei si iscrive al partito di chi vorrebbe rivedere la “regola del 2%”?
“Non necessariamente, ma di sicuro non c’è motivo di tornare in fretta a quei livelli. Ci possono volere due-tre anni, perché affrettarsi a costo di azzoppare l’economia e di creare valanghe di disoccupati? La spirale inflazionistica è già sotto controllo, e questo è quel che conta”.
Gli analisti prevedono che il 2023 sarà l’anno della recessione. È d’accordo?
“Dipenderà da vari fattori, e dall’andamento della guerra. In linea di massima direi che l’America, dotata di una forza intrinseca ancora notevole, probabilmente riuscirà a schivare di misura la recessione. L’Europa invece, più vulnerabile, non ci riuscirà, ma sarà una recessione leggera. Sulla sua durata, dipende appunto dall’atteggiamento delle banche centrali”.
Sulle cause, il suo eterno collega-amico-rivale Larry Summers sta dicendo da più di due anni che gli aiuti sono stati eccessivi.
“Pure lui sbaglia. Dice che in America l’inflazione è attivata dalla massa di denaro che gli americani si ritrovano in tasca. Macché: a salire, dati alla mano, sono i risparmi, non i consumi. Anche l’altro motivo addotto, gli aumenti salariali, è capzioso e irrilevante, fa comodo solo agli industriali per dimostrare che non devono dare più soldi ai dipendenti”.
E allora? Cos’è che ha generato il rialzo?
“Come in Europa, l’inflazione è da offerta, non da domanda. Sbagliato combatterla con gli aumenti dei tassi, che hanno solo l’effetto di rendere più complicati gli investimenti delle aziende che sarebbero vitali. Più che il Pil a preoccupare è il tasso di disoccupazione che aumenta”. […]
Come negare però che in Europa il fattore energia è dominante?
“Certo, anzi le dirò di più: ho studiato i metodi di determinazione dei prezzi dell’elettricità in Europa e in Italia, e mi sono convinto dell’urgenza di una riforma perché attualmente gli speculatori vengono premiati, e anche certi produttori. Si potrebbero abbattere su tutta la linea i prezzi”. […]
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* Estratto pubblicato in Dagospia