Claudia Osmetti, Libero Quotidiano, 30 XI 2021
IN ITALIA 770 MILA PERSONE SCAPPATE DAL POSTO FISSO – È UNA SVOLTA CULTURALE: SI CERCANO ALTRE STRADE E C’È UN BOOM DI APERTURE DI PARTITE IVA
Fuga dal posto fisso. Il coronavirus, da una parte, che ci ha stravolto le priorità. Il mercato del lavoro, dall’altra, che paradossalmente non è mai stato così dinamico: non di recente, almeno.
Si cercano ingegneri, falegnami, operai specializzati. Ma si dimettono impiegati, sportellisti e dipendenti d’azienda. Un caso su tutti, Bergamo. L’operosa Bergamo che “mola mai” (non molla mai), che resiste sempre, costi quel che costi, che si rimbocca le maniche e tiene duro.
Ecco, a Bergamo, nei primi tre trimestri di quest’anno, cioè da gennaio a settembre, han rassegnato le dimissioni in 17mila, 4.500 in più rispetto al 2020. Scusi-sa-che-c’è?-Io-mi-licenzio.
A dare i numeri (in senso letterale, per carità) è il sindacato Cisl della città lombarda: «La pandemia – dice il segretario provinciale Danilo Mazzola, ha favorito e ha spinto le persone a bilanciare diversamente il proprio tempo». Se c’è una cosa che ci ha insegnato il Covid, insomma, è che non esiste mica solo l’ufficio.
Dopodiché intendiamoci, le dimissioni a cascata che stiamo registrando hanno anche altre cause. Il turnover, tanto per cominciare: che l’anno scorso è rimasto bloccato e che adesso deve recuperare. O il blocco dei licenziamenti, finito appena qualche settimana fa.
Però resta il dato, e a Bergamo fa impressione: le “dimissioni volontarie” (si chiamano così, in gergo tecnico) sono aumentate del 25%. Hai detto poco: in un momento, come quello che stiamo vivendo, della crisi sanitaria che ne è il preludio di un’altra, di crisi. Quella economica.
Ma che, sono impazziti, a Bergamo? No: o, quantomeno, non lo sono più degli umbri (a Terni e Perugia, nei primi sei mesi del 2021, i lavoratori che han riconsegnato il badge e salutato i colleghi sono cresciuti del 7,6% se paragonati allo stesso dato del 2019) o dei toscani (che di dimissioni ne han già protocollate 20mila).
La carriera? Sì, d’accordo: ma ne vale la pena? Non è meglio lavorare meno e accontentarsi, però poter contare su qualche ora libera in più al giorno? Il fenomeno è nazionale. Anzi, internazionale.
Negli Stati Uniti gli han pure appioppato un nome, “The great resignation“, la grande dimissione, che più esplicativo non si può. Da noi è cominciato in sordina, quasi non ce ne siamo accorti, occupati com’ eravamo ad arginare i contraccolpi del coronavirus che si son abbattuti in tutti i settori, quello lavorativo compreso.
Però è diventato un fiume in piena: i licenziamenti volontari di massa. Per avere un quadro preciso è ancora presto, dicono gli esperti, ma di posti di lavoro abbandonati ce ne sarebbero, in Italia, già oltre il mezzo milione.
Secondo una stima del ministero del Lavoro, si contano (almeno) 484mila dimissioni auto gestite, e solo tra aprile e giugno. Si tratta dell’85% in più sui numeri del 2020. Ma per la Banca d’Italia (vedi il rapporto “Il mercato del lavoro: dati e analisi”) nei primi dieci mesi di quest’anno siamo già a quota 770mila cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, 40mila più di quelle che si son registrate nell’epoca pre-pandemica.
La stragrande maggioranza (il 90%) riguarda l’industria che, da sola, totalizza 26mila dimissioni in più e, sorpresa, l’incremento più significativo si ha al Centro e al Nord. Al Sud, tutto sommato, i contratti reggono e le dimissioni sono stazionarie, in linea con gli anni scorsi.
Voglia di lavorare zero? Non proprio. È più una svolta culturale: ché lo smart working lì per lì ci aveva mandato al manicomio, coi bambini che facevano baccano nella stanza accanto e le e-mail che si accumulavano anche all’ora di cena, però vuoi mettere la libertà di non dover timbrare un cartellino tutte le sante mattine e ritrovarti impigliato negli orari dell’ufficio di turno?
Anche perché, diciamocelo chiaro, chi si licenzia, oggi, non è per mettersi in panciolle sul divano. Cerca, semmai, un’altra strada. Sarà un caso ma l’Osservatorio sulle Partite Iva registra, proprio in questo periodo, un boom di aperture, con una crescita del 50% per chi si occupa di tecnologia o servizi digitali.