Mario Barresi, La Sicilia, 14 X 2022
‘Gnazio, il milanese di Paternò: una vita a destra dal “La Rissa” del Fronte alla scelta di Schifani
Il neo presidente ha lasciato la Sicilia a 11 anni ma i legami con l’Isola ci sono ancora.
Della Sicilia, oltre all’incancellabile accento paternese, gli è rimasta dentro l’anima. La villa delle estati a Ragalna, l’amore per Taormina, pochi amici – ma buoni – soprattutto tra Catania e Messina. Per i quali Ignazio Benito Maria La Russa, il senatore di Cologno Monzese ieri assurto allo scranno più alto di Palazzo Madama, è solo “‘Gnazio”.
La Russa ha lasciato la Sicilia a undici anni. Ma la sua famiglia non emigrò certo con la valigia di cartone legata con lo spago. Il padre Nino, penalista principe del foro etneo, sposò nel 1937 Maria Concetta Oliveri, rampolla di una facoltosa famiglia paternese. Poco dopo, da fervente fascista, andò in guerra e fu catturato dalle truppe britanniche, esattamente ottant’anni fa ad El Alamein e rimase prigioniero in Egitto fino al 1946. Tornato in patria non rinnegò le sue idee e si iscrisse al Msi. L’anno dopo nacque Ignazio Benito Maria, secondo di quattro figli. Cominciando a masticare toga e politica sin da piccolo: il suo primo comizio il presidente del Senato lo tenne a dieci anni, accanto al padre. Maestro d’oratoria e poi parlamentare di lungo corso (dopo un subentro nel 1958, cinque legislature piene dal 1972), La Russa padre incantò proprio dal palco Michelangelo Virgillito. Il finanziere paternese trapiantato a Milano (ex muratore, fece fortuna con i cinematografi, si dice eredità di un ebreo deportato e mai più tornato) volle l’avvocato-politico al suo fianco. Fra i più spregiudicati “rialzisti” di Piazza Affari, scalò Liquigas e Lanerossi, piazzando il fidatissimo compaesano ai vertici. Quando Virgillito, «il commendatore più pio d’Italia», morì, nel 1977, La Russa senior camminava già sulle proprie gambe nei salotti della finanza meneghina: legato prima al calabrese Raffaele Ursini e poi, soprattutto, a un altro paternese doc, il più che controverso Salvatore Ligresti, che gli fece conoscere e frequentare Enrico Cuccia.
In questo humus padano con striature di «muoviti fermo», il piccolo Ignazio viene allevato da rampollo della Milano bene. Studi a St. Gallen, in un college della Svizzera tedesca e laurea in Giurisprudenza a Pavia. Ma la politica, fragorosamente di destra, c’est de famille. Iscrizione al Msi nel 1970, brillante ducetto milanese del Fronte (nome in codice: “La Rissa”), consigliere al Pirellone. È il momento di maggior distanza dalla sua Sicilia: nel 1992 “eredita” il seggio del padre (sempre eletto in collegi etnei) entrando alla Camera dalla circoscrizione Milano-Pavia. Da lì la lunga carriera che tutti conoscono: dalla svolta di An a Fiuggi, al fianco di Gianfranco Fini (mollato nell’avventura di Fli) alla fondazione di Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni e Guido Crosetto. In mezzo trent’anni di parlamento col centrodestra (Polo-Cdl-Pdl), la nomina a ministro della Difesa e la creazione di un personaggio – ‘Gnazio, digiamolo… – celebre per l’imitazione di Fiorello, ben prima che per il doppiaggio di una puntata dei Simpson. Un percorso coerente, sulla scia del maestro Pinuccio Tatarella, da Destra Amica al potentissimo correntone Destra Protagonista, con sempre accanto il “gemello diverso” Maurizio Gasparri. Che ieri, da forzista ortodosso, non l’ha votato: non è dato sapere se con intima sofferenza o con spirito di vendetta, visto che La Russa è stato fra i più bastoni fra le ruote nella corsa al Campidoglio.
In Sicilia ha pochi amici veri. Il più intimo è Nino Strano, compagno di scorribande edonistiche. «Non sono molto gelosa però sulla sua fedeltà non metterei la mano sul fuoco. Invece Ignazio da bravo siculo è abbastanza geloso», la recente confessione a Chi della moglie Laura Di Cicco. Dalla quale, lui che antepone alla passione per gli eroi indiani e per i film di fantascienza soltanto il tifo per la “beneamata” Inter, ha avuto due figli: Lorenzo Kocis e Leonardo Apache. Il primogenito, Geronimo, è nato dall’unione precedente con Marika Cattare. Ironia della sorte, è proprio l’amicizia con Strano a farlo incrociare per la prima volta con Nello Musumeci. «Era il 1987: Tatarella mi chiese un nome per il segretario provinciale del Msi a Catania: io pensavo a Nino, persona splendida, ma gli dissi che c’era anche Nello. “Lo conosco meno, ma mi parlano bene di lui”. Chiamai Strano, ma lui era a Deauville. Scelsi Musumeci. Lui vinse. E da lì cominciò la sua ascesa: la Provincia… e tutto il resto», ci ha raccontato La Russa quest’estate in una lunga chiacchierata nel solarium dell’hotel Baia Verde, altro posto del cuore dopo il Capo Taormina di cui il padre fu amministratore. Dell’ormai ex governatore, nelle trattative per le Regionali, La Russa è stato il più feroce ultrà. La mancata ricandidatura è stata una sconfitta nel ruolo di viceré meloniano di Sicilia, ma s’è preso una mefistofelica vendetta “scegliendo” Renato Schifani: fu proprio lui, con una mossa geniale, a indicarlo come «nostra scelta nella rosa fornitaci da Forza Italia». Il fatto che l’ex presidente del Senato non fosse nella lista fornita da Gianfranco Miccichè è un trascurabile dettaglio, perché Silvio Berlusconi, in asse con Matteo Salvini, a quel punto s’è trovato a un bivio. E, in una telefonata rivelataci proprio da La Russa, la mattina della scelta finale, il Cav gli disse: «Ignazio, hai vinto: ci va bene Musumeci. Ma fallo parlare con Gianfranco: devono chiarirsi fra loro». ’Gnazio non stava nella pelle e chiamò Musumeci: irraggiungibile, perché in campagna. Un’ora e mezza dopo l’altra telefonata da Villa Certosa: «Contrordine: ci va bene la vostra offerta su Schifani». Nella trincea delle Regionali, s’è incrinata l’amicizia con Raffaele Stancanelli, uno dei pochi a cui ha sempre riconosciuto un certo standing politico: «Vigliaccherie», il verdetto su un’intervista in cui l’eurodeputato addebitava a La Russa tutta la colpa del niet di FdI sul suo nome. E in questi mesi da emissario in Sicilia ’Gnazio (che detesta amabilmente, ricambiato, Adolfo Urso, altra stella etnea del firmamento meloniano) ha rafforzato il legame col suo unico pupillo: Gaetano Galvagno, deputato regionale, ça va sans dire di Paternò, aspirante presidente dell’Ars.
La Russa, seconda carica dello Stato, completa il tandem siciliano con Sergio Mattarella. La sfida più difficile? «Ricordarsi i nomi dei senatori», ridacchiano gli amici che gli rinfacciano di fare da sempre confusione, pure fra quelli da non dimenticare. «Ma che ci posso fare? Se uno non mi colpisce me lo scordo…», risponde lui. Raccontano gli ex An che una volta non gli sovvenne Nicola Cristaldi: «Come minchia si chiama quello lì, il trapanese coi baffi?», la plateale richiesta d’aiuto mnemonico a un collega di partito. Dietro di loro c’era proprio il diretto interessato – tanto pomposo nel ruolo di presidente dell’Ars da meritarsi il soprannome di “Federico II” – che sbuffò indignato. E poco dopo uscì dalla corrente dello smemorato ’Gnazio.