Matteo Palumbo, Il Manifesto, 30 VII 2021
Adelphi, il vigore eversivo e sapiente di una grande scommessa
La vita intellettuale di Roberto Calasso coincide con la storia dell’Adelphi e costituisce un’applicazione eloquente dei principi alla base di quell’esperienza. I suoi saggi sono inseparabili dalle esigenze che determinarono la nascita della casa editrice e nel cui clima presero forma alcuni dei tentativi più innovativi nel panorama editoriale italiano. Una programmazione eccentrica, nata sulla spinta della genialità eterodossa di Roberto Bazlen e di Luciano Foà, ha mostrato, nel corso degli anni, il vigore di un progetto eversivo nel clima intellettuale dominante.
Quando l’Adelphi fu fondata, nel 1962, la tradizione letteraria egemone fu rimessa in gioco. I grandi modelli teorici, vincenti nel clima degli anni Sessanta, si richiamavano, con tutte le sfumature possibili, al modello di uno storicismo integrale, paradigma di una cultura arroccata a difesa di numi tutelari intransigenti e tirannici. Le voci estranee alle tendenze dominanti sembravano pericolose ed eretiche. Il Lukàcs della Distruzione della ragione, ripubblicata da Einaudi nel 1964, ribadiva, in maniera sistematica, il rifiuto di qualunque cultura che non si identificasse con la linea del marxismo passato attraverso la filosofia di Hegel.
Da Fichte, Schelling e Schopenhauer, arrivando a Freud e a Weber, non c’erano autori utilizzabili. Quel mondo escluso, messo da parte come un nemico irriducibile, rappresentava l’irrazionalità che aveva minacciato il cammino dello spirito europeo e ne aveva intaccato la forza. Sul piano dei modelli letterari, la gerarchia non era meno netta. Il realismo critico di Thomas Mann era ancora un modello, che dominava sulle altre esperienze concorrenti e si imponeva come la via maestra della narrativa.
Adelphi scelse un’altra strategia. Si attestò su posizioni che erano allora specifiche di una élite intellettuale raffinata e controcorrente. L’autore, che diventò la pietra angolare di un sistema originale e alternativo, fu Nietzsche. Nel 1964, dopo una lunga e inutile trattativa con Einaudi, esce il primo volume dell’edizione critica delle sue opere: un’impresa che è rimasta come una pietra miliare dell’editoria del secondo dopoguerra. L’autore di Zarathustra è solo l’avamposto di una rivoluzione che avrebbe portato a galla libri e autori apparentemente cancellati o rimossi per sempre.
Cominciò la grande diffusione degli scrittori della Mitteleuropa, da Joseph Roth a Karl Kraus, da Robert Walser ad Alfred Kubin e Thomas Bernhard, fino a Danilo Kiš e Milan Kundera. Con loro tornavano in vita autori dimenticati negli scantinati di qualche libreria e si cominciarono a recuperare, in maniera sistematica, le opere di Alberto Savinio o, nei nostri anni, i testi di Giorgio Manganelli e di Carlo Emilio Gadda. Questo coraggioso programma ha inciso sulla fisionomia di nuove e diverse intelligenze e ha permesso che gli orizzonti della conoscenza si allargassero prepotentemente.
Ora che Roberto Calasso non c’è più, si deve sperare che lo spirito dell’antico progetto sopravviva e che gli eredi sappiano muoversi con uguale coraggio.