LiveUniCT, 29 IV 2022
E’ SICILIANO IL MIGLIOR AMARO AL MONDO: L’ISOLA TRIONFA AL WORLD LIQUEUR AWARDS
Il liquore siciliano “Amaro Amara” è il miglior amaro del mondo. Si tratta della prima volta per un liquore siciliano. È quanto emerge nell’ambito dell’autorevole competizione mondiale World Liqueur Awards che ha assegnato ad “Amaro Amara” il riconoscimento più alto per la sua categoria, “la medaglia d’oro”. “Amaro Amara” entra, quindi, ufficialmente nell’Olimpo della liquoristica italiana, portando in alto la Sicilia, con il suo territorio ed i suoi prodotti unici.
Una soddisfazione tutta siciliana
“Un riconoscimento che arriva dopo due anni difficili ma in cui non abbiamo mai fatto compromessi sulla qualità. Questo oggi ci viene riconosciuto, a testimonianza che con il lavoro e l’impegno si può arrivare ovunque – racconta l’imprenditore Edoardo Strano – . È un vero orgoglio ricevere un premio così importante che ci aiuta a realizzare il nostro obiettivo più alto: raccontare la bellezza e l’autenticità del territorio agricolo etneo nel mondo“.
Nove anni fa, Strano riuscì a dar vita ad un amaro artigianale realizzato solo con scorze di Arancia Rossa di Sicilia IGP e erbe spontanee dell’Etna. Le arance rosse di Sicilia che crescono ai piedi dell’Etna sono le protagoniste indiscusse di “Amaro Amara”: il loro intenso profumo ha determinato, tra il resto, questo trionfo, che è trionfo un po’ per tutti i siciliani.
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Carmen Greco, La Sicilia, 21 II 222
L’intuizione felice di Edoardo Strano, l’Etnauta nipote di un “caminante”
Mamma ma che ne pensi se faccio le spremute e vendo il succo d’arancia agli stranieri?». Edoardo Strano la “scorza” da imprenditore l’ha sempre avuta da piccolo, quando «all’età di 5 anni voleva fare un chioschetto sulla spiaggia di Recanati». Dopo la scuola veniva sempre con me in magazzino – ricorda la mamma, Maria Santangelo – voleva sempre mettere le mani in pasta, ha vissuto e respirato l’ambiente degli agrumi, il nonno, i ricordi di mio padre, è cresciuto così…». Racconti e ricordi diventati il tema di una graphic novel dedicata alle gesta degli Etnauti, un’assonanza non del tutto fantasiosa in cui l’impresa non è la conquista di un vello d’oro, ma l’esaltazione dell’oro di casa nostra, vale a dire le piccole produzioni d’eccellenza di frutta dell’Etna. Gelsi neri, ciliegie dell’Etna dop, pere coscia, fichi d’india, fragole di Maletto, pesche tabacchiere, mele delizia, mandarini Marzola, arancia Tarocco Gallo, limone “primofiore” tutti gioielli (alcuni a rischio d’estinzione) della biodiversità agricola tutelata ancora da piccoli produttori sul vulcano scovati dall’alchimista dei liquori agricoli, Ivan Scavo a Misterbianco, Catania, Ragalna, Adrano, Maletto, Sant’Alfio, Riposto e Santa Maria di Licodia.
“Questo fu il nome di chi giammai da solo, ma in compagnia di braccia, gambe e cervelli sopraffini, la terra tramutò in un dono, di frutti sacri e per i quali far vanto; di Rico, a guida degli Etnauti, io canto”. In ogni poema che si rispetti, all’inizio del primo canto l’autore deve dichiarare l’argomento di tutta l’opera. E la tradizione viene confermata in questo giornale a fumetti di 12 pagine che Edoardo Strano, 35 anni, ha ideato per raccontare le “avventure agricole” della sua azienda di contrada S. Martino a Misterbianco, già baciata dal successo di Amaro Amara e ora impegnata nella nuova impresa dei liquori agricoli fatti con la frutta, versione innovativa dei rosoli della nonna. Per lanciarli ecco il ricorso alla graphic novel con i personaggi Don Rico Santamaria (il proprietario, alter ego del nonno Ciccio Santangelo da Paternò), Tonio (il sensale), Placido il mastro di chiavi, Alfio il massaro, Melo il potatore, Barbaro Mezzapisa il pesatore, Tano “il vichingo” l’autista”. Tutte figure di un mondo rurale che non c’è più ma che sopravvivono nei fumetti degli Etnauti.
«L’idea era fondere il mito degli Etnauti ai “Caminanti” così venivano chiamati quelli che giravano le campagne, compravano le arance, le rivendevano – spiega Edoardo Strano – vecchie figure che oggi sono state sostituite dai mediatori, quelli che fanno incontrare sul mercato domanda e offerta. ‘U caminanti faceva il mediatore, poi ha capito il meccanismo e si è messo in proprio a commercializzare le arance. Mio nonno prima di essere commerciante d’arance era “caminante”. Tutti i commercianti di oggi erano operai agricoli, anche quest’azienda prima di essere di mio nonno apparteneva al generale Di Mauro, prima ancora, era di un barone. Proprietari nobili che si sono fatti sottrarre le terre dai famosi “caminanti”, approfittando magari del fatto che quelli le perdevano al gioco. Persone che subentravano per gestirle e che nella graphic novel abbiamo definito “Etnauti”».
Una storia scritta da Alfonso Prota e disegnata da Emanuele Gizzi. «Io racconto loro le storie che mi raccontava mio nonno e loro le traducono in parole e disegni. È uscito il primo numero, nel secondo – anticipa Edoardo Strano – inseriremo una donna, Carmela, una ragazza che rubava i fichidindia, verrà scoperta dal sensale Tonio e poi finirà per collaborare con Don Rico. È chiaro che l’abbiamo romanzato partendo dal fatto che mio nonno lasciava un filare d’arance “per i ladri”. C’era una sorta di patto non scritto di “rispetto”. Oggi negli agrumeti abbiamo i custodi, ma c’è sempre chi ruba le arance. C’è una signora che gira con uno scooter e riempie una busta dell’Ikea di arance rubate “prelevate” in giro, in zona è facile incontrarla…».
Attualmente le arance etnee costano sull’albero 50/60 centesmi al chilo e al dettaglio dovrebbero costare intorno all’euro al chilo. «Ma il mercato nostro non fa testo – spiega Strano – perché nessun supermercato vende le arance a 2 euro quando per strada si trova la “Lapa” con una busta di tarocco a 40 centesimi al chilo. Il nostro vero mercato è al Nord». Un trend che nonno Ciccio aveva già focalizzato negli anni Cinquanta quando vendeva le sue arance a Fondi, ancora oggi il più importante centro di smistamento in Italia per i prodotti ortofrutticoli freschi. «Da “caminante”, era arrivato ad acquisire 400 ettari, era diventato ricco e girava in Mercedes. Il primo bonifico di 500 milioni a Paternò lo firmò lui, il giorno dopo gli chiesero il pizzo. Lui però non dimenticava quello che era stato, anche quando girava con il macchinone, se vedeva un bel filare d’arance si fermava con il suo sensale per riempire il portabagagli di frutti. Mi ricordo ancora il profumo di quella macchina, dentro c’era un tale strato di terra che ci cresceva l’acitazzu… (ride ndr) non la lavava mai. Se mi sento il suo erede? Da un lato sì, dall’altro è cambiato un po’ tutto».
«L’idea di fare i liquori agricoli è nata sulla scia del successo dell’amaro Amara ma anche dalla sollecitazione – rivela – di tanti amici che mi chiedevano consigli su altri liquori che avessero lo stesso “animo” siciliano. Così abbiamo cominciato a fare delle prove con le pere, e le mele dell’Etna rispolverando una passione nata all’Università con Ivan (Scavo ndr), ho ancora l’agenda con le note sulle prove di tutti i liquori che sperimentavamo. Alla fine ci siamo guardati intorno e abbiamo deciso che questo nuovo liquore avrebbe dovuto rappresentare il meglio delle produzioni agricole dell’Etna, il limone di Acireale, le arance a Paternò, le ciliegie a Sant’Alfio e così via…».
Il risultato è stato “resuscitare” il rosolio della nonna con alcol agricolo (ricavato dal grano), frutta, meno zucchero e senza coloranti. «Non potendo produrre in proprio tutte queste varietà di frutta abbiamo scovato piccolissimi produttori di eccellenze locali (per esempio le ciliegie dop). L’obiettivo è fare con i liquori un po’ quello che è stato fatto con il vino, renderli unici e legarli ad una territorialità che li identifichi immediatamente». La “rievoluzione” del rosolio che si faceva in casa mostra anche un nuovo packaging dal sapore vintage (le bottiglie ricordano vagamente il vetro delle preparazioni galeniche delle farmacie), accompagnato da un uno storytelling “antico” (il fumetto su carta) ma “innovativo” per il modo di rappresentare la storia dell’azienda. «Vogliamo dargli la stessa importanza di una bottiglia di vino, se il mercato fra 5 anni ci premierà, vuol dire che ci abbiamo visto giusto».