Massimo Gramellini,CorrieredellaSera,17 VII 2021
Gianluca nell’arena
Com’ è vero che il peso delle parole dipende da quello di chi le pronuncia! Il discorso che Teddy Roosevelt tenne alla Sorbona nel 1910 non brilla certo per originalità. Insiste con meno poesia di Jack London (d’altronde Teddy Roosevelt era un ex presidente americano, mica un grande scrittore) sul concetto che a essere degno di stima non è chi critica dagli spalti, ma chi si mette in gioco nell’arena, a costo di andare incontro alla sconfitta.
Eppure, nell’interpretazione di Gianluca Vialli che lo declama ai giocatori della Nazionale prima della finalissima, quel discorso acquista improvvisamente potenza e bellezza. Si sente che l’oratore non solo crede in ciò che dice, ma che lo vive.
Quelle parole se le porta addosso e dentro, ogni giorno, come diga contro la malattia che sta affrontando con immensa dignità.
E quando legge dell’uomo nell’arena «il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue», la voce gli si increspa tra «sudore» e «sangue» e noi ci scopriamo commossi come lui e da lui.
Trentuno estati fa — nelle notti magiche del 1990 — un giovane cronista sportivo innamorato di Roberto Baggio assegnò a Vialli in decine di articoli la parte dell’usurpatore e del cattivo. Vialli tentò di fargli un gavettone, ma lo mancò. Così ora il gavettone me lo faccio da solo e gli chiedo scusa.
Mi ero sbagliato, Gianluca: allora pensavo che tu fossi un fighetto. Invece il fighetto ero io, che ti criticavo dagli spalti. Tu eri già un uomo nell’arena.
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L’UOMO NELL’ARENA
“Non è il critico che conta, nè l’ndividuo che indica come l’uomo forte inciampi, o come avrebbe potuto compiere meglio un’azione. L’onore spetta all’uomo che realmente sta nell’arena, il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore, dal sangue; che lotta con coraggio; che sbaglia ripetutamente, perchè non c’è tentativo senza errori e manchevolezze; che lotta effettivamente per raggiungere l’obiettivo; che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa; che nella migliore delle ipotesi conosce alla fine il trionfo delle grandi conquiste e che, nella peggiore delle ipotesi, se fallisce, almeno cade sapendo di avere osato abbastanza. Dunque il suo posto non sarà mai accanto a quelle anime timide che non conoscono nè la vittoria, nè la sconfitta.” [traduzione di G. Carro, 2007]