F. Karrer – S. Pasanisi, Il Riformista, 21 III 2025
Salva Milano, le criticità da superare. L’unica ristrutturazione che serve è quella urbanistica
Come in tutti i settori, anche nell’urbanistica la legislazione italiana ha seguito o meglio “inseguito”, l’evoluzione della società e delle sue istanze. Tuttavia troppo spesso le norme permangono malgrado le istanze cambino: il risultato è la sovrapposizione di regole, talvolta contraddittorie tra loro.
Dagli anni ‘60 le nostre città hanno vissuto un’intensa espansione, ma lo sviluppo è stato spesso carente in termini di disegno urbano, infrastrutture e servizi. Le città si sono espanse senza una pianificazione organica, con gravi lacune sia nelle opere di urbanizzazione primaria (strade, reti idriche ed elettriche, fognature) che secondaria (scuole, mercati, luoghi di culto, impianti sportivi). Per affrontare queste carenze proprio in quegli anni il legislatore ha iniziato a introdurre l’obbligo di realizzare tali opere e, successivamente, con la Legge n. 765/1967 (introducendo l’articolo 41-quinquies nella Legge n. 1150/1942), ha reso obbligatorio il piano attuativo per le nuove costruzioni con volumi superiori a 3 mc/mq o altezza superiore a 25 metri. Poi con il Decreto Ministeriale n. 1444/1968 si è ulteriormente disciplinata la materia, stabilendo parametri urbanistici dettagliati per la densità abitativa, gli spazi pubblici e i servizi.
Invece in questi ultimi anni l’attenzione si è spostata sulla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, con l’obiettivo di promuovere la rigenerazione urbana e ridurre il consumo di suolo. Il Decreto Legge n. 69/2013 ha introdotto importanti modifiche al Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. n. 380/2001), estendendo la definizione di “Ristrutturazione Edilizia” per includere anche la demolizione e ricostruzione di edifici. Tuttavia, l’applicazione di queste norme ha generato controversie, come dimostra il caso di Milano, dove la Procura ha contestato in modo generale (si parla di 150 inchieste) l’utilizzo della SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) proprio per interventi di demolizione e ricostruzioni, ritenendo necessaria l’approvazione di piani attuativi preventivi, come se fossimo negli anni ‘60. Successivamente i magistrati hanno anche iniziato ad indagare su altri e diversi profili di illegalità contestati ad alcuni tecnici milanesi nel corso di attività su alcuni progetti contestati anche sui profili sopra indicati.
Salva Milano, le criticità da superare
Per risolvere la questione urbanistico-edilizia, perché l’altra farà il suo corso autonomamente dalla prima, la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge “Salva Milano”, oggi al Senato per la conversione. Si tratta di un’interpretazione autentica della norma sulla Ristrutturazione Edilizia. Le criticità di ordine tecnico che il provvedimento dovrà superare sono sostanzialmente due e non totalmente nel suo dominio: la prima, è legata alla certezza che l’istituto dell’interpretazione autentica sia conforme agli orientamenti della Corte Costituzionale; la seconda è se effettivamente l’interpretazione autentica sia sufficiente a far decadere le tre condizioni per le quali gli interventi realizzati a Milano vengono contestati, ovvero la necessità di essere preceduti da piani attuativi, anche su aree monoproprietà – secondo la Procura non urbanizzate -, e che i nuovi edifici possano sviluppare una cubatura maggiore di 3 mc/mq e un altezza superiore a 25 m. L’avverarsi di tali due circostanze a seguito dell’auspicabile approvazione del Salva Milano, appare incerto.
Conseguentemente, in attesa di conoscere la decisione dei vari gruppi politici sul provvedimento in discussione al Senato, si pone la riflessione, che sta prendendo piede tra più di qualche esperto, sulla necessità di un ulteriore provvedimento legislativo, una sorta di “Salva Città”, a legittimazione dello stesso Salva Milano e che, rendendo meno discrezionale le valutazioni da parte delle amministrazioni, preverrebbe anche eventuali condotte improprie nel delicato rapporto pubblico-privato contestate dai magistrati. In quanto la tanto invocata rigenerazione urbana, già difficile di per sé (considerati gli elevati costi per gli operatori e quindi per gli acquirenti), è assai più complessa se non si stabilisce l’entità delle “compensazioni redistributive” dovute dall’operatore a vantaggio della comunità.
E la conseguente riflessione anche su entità ed uso degli oneri e degli extra-oneri di urbanizzazione, con le relative implicazioni erariali. Nonché sugli indennizzi che vanno riconosciuti per eventuali disturbi o danni, anche permanenti, che le proprietà circostanti possono subire non solo in fase di costruzione. Tutte questioni che meglio si affronterebbero se la ristrutturazione forse prima urbanistica, su porzioni di città, e solo dopo edilizia.