Attilio Bolzoni, Repubblica, 9 III 2017
Siino, il “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra racconta i segreti dell’intreccio politica-mafia
Il libro Vita di un uomo di mondo (Ponte delle Grazie, pagg 173, euro 14,00), ventototto capitoli densi di episodi raccolti con l’aiuto e la passione del suo avvocato Alfredo Galasso, che l’autore chiama sempre rispettosamente “il professore”. Autobiografia di uno dei più importanti pentiti, mescolata a “ragionamenti” intorno a una Sicilia avvolta dai misteri.
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Sembra un romanzo ma quello che c’è scritto è tutto vero: nomi, luoghi, fatti, incontri e intrighi. Ci sono i principi e i conti della Sicilia più sfarzosa o decadente e ci sono i capi storici delle “famiglie” più aristocratiche, personaggi di fama dubbia come Salvo Lima e Michele Sindona, senatori della Repubblica come Giulio Andreotti e Marcello Dell’Utri. Ci sono i ricordi dei viaggi fra i lussi di Parigi e quelli nei gironi del carcere dell’Asinara, delle battute di caccia con le “mangiate” e le “parlate” nelle masserie dei boss, ci sono i retroscena di certe vicende che hanno fatto tremare un’isola e anche l’Italia intera. Lui è quello che ha fatto ricca la mafia di Palermo. E che poi l’ha rumorosamente ripudiata.
Ma identificarlo come “il ministro dei Lavori Publici” di Cosa Nostra sarebbe troppo semplicistico e grossolano, perché Angelo Siino è un personaggio così complesso e così profondamente radicato in una Sicilia del passato recente, che confinarlo “soltanto” come il collegamento fra i vertici di un’associazione criminale che spara e i vertici di un’associazione criminale politica non fa scoprire sino in fondo chi è questo siciliano cresciuto nelle assolate campagne di San Giuseppe Jato. E che poi ha avuto onori e dovuto sopportare oneri sia nei salotti della Palermo che nelle tane dei macellai.
Il libro che ha scritto non a caso ha come titolo Vita di un uomo di mondo (Ponte delle Grazie, pagg 173, euro 14,00), ventototto capitoli densi di episodi raccolti con l’aiuto e la passione del suo avvocato Alfredo Galasso, che l’autore chiama sempre rispettosamente “il professore”. Autobiografia di uno dei più importati pentiti, mescolata a “ragionamenti” intorno a una Sicilia avvolta dai misteri.
Ma prima di seguire Angelo Siino e i percorsi attraverso i quali ha riavvolto la sua esistenza, ci sono due piccoli scoop che la sua memoria ci consegna. Uno riguarda Salvo Lima, il referente di Giulio Andreotti in Sicilia assassinato nel 1992 per avere “tradito” Cosa Nostra e non averla garantita in Cassazione per le condanne del maxi processo. E’ la stagione nella quale i Corleonesi hanno già conquistato Palermo e dettano nuove leggi nel sistema degli appalti pubblici, Angelo Siino è al centro di questo ingranaggio. Un giorno l’eurodeputato Salvo Lima si confida con lui, criticando aspramente il ministro della Giustizia Claudio Martelli che aveva appena nominato Falcone direttore genereale degli Affari penali. Scrive Siino: “Mi disse: “Chistu si metterà l’Italia nelle mani”..”. Falcone, per Lima e i suoi amici, stava diventanto troppo potente e pericoloso.
C’è un altro episodio che Siino racconta e riguarda un omicidio che per fortuna non c’è mai stato, quello di Gianni Minoli. Il giornalista è in vacanza a Filicudi, dove arrivano anche Siino e sua moglie. Dopo poche ore, viene avvicinato da un uomo che gli porta un messaggio dal capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto detto “l’Avvocato”. Un annuncio di morte per Minoli: “Parla assai”. Siino se ne va via subito da Filicudi, il giorno dopo telefona ai boss più potenti della zona che gli dicono che “l’Avvocato”, da solo, non può prendere una decisione così importante: “Questo ricordo torna spesso nella mia mente”. Come quelli sull’uccisione del giornalista Mario Francese (“Stefano Bontate mi disse infastidito che non si faceva gli affari suoi”) e di Mauro Rostagno del quale senti parlare ai parenti stretti di Matteo Messina Denaro (“Deve finire ‘sta camurria o gli spacchiamo le corna”) o di Peppino Impastato la cui morte fu commentata così da uno dei Badalamenti: “Hanno deciso di farlo smettere”.
Nel libro di Siino c’è un filo che attraversa la storia siciliana. E’ l’agosto del 1979 e fa la conoscenza del bancarottiere Michele Sindona fuggito da New York e riparato a Palermo. Ha il compito di accompagnarlo, una sera è a Mondello, Sindona parla con qualcuno dal telefono di una cabina telefonica e grida: “Non mi puoi fare questo, se fallisco io succede il finimondo, altro che salvatore della lira”. Pagina dopo pagina si arriva in una campagna alle porte di Catania dove non si spara alle lepri, ma si fa la guardia ad Andreotti che incontra alcuni capimafia. Un capitolo è dedicato alle manovre dei reparti speciali dei carabinieri contro la procura di Palermo, un altro agli amici siculo-milanesi di Berlusconi, in un altro ancora si sfiora la trattativa Stato-mafia: “Non comprendo perché alcuni la considerino un’ipotesi assurda. Stato e Cosa Nostra, ma anche camorra e ‘ndrangheta, hanno sempre traccheggiato”.
L’incipit del racconto è fulminante: “Sono e mi chiamo AngeloSiino, nato a San Giuseppe Jato il 22 marzo del 1944. Ho ripetuto queste generalità cento volte dinanzi ai Tribunali e alle Corti di tutt’Italia, fino a perderne il senso reale, il senso della mia vita”.