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“Lavori socialmente inutili” (Edizioni Sonda, Torino) è una collana che raccoglie le abitudini, le manie, le frustrazioni e i sogni inconfessabili di chi è prigioniero del proprio lavoro: il nuovo oppio dei popoli, un modo per farci sentire importanti e produttivi.
Dopo bancari, ingegneri, grafici e madri – e subito prima degli psicologi – è toccato agli avvocati. E ad occuparsene è stato Christian Carosi che al momento dell’uscita del libro (2000) era un praticante procuratore legale in attesa degli esiti dell’ultimo esame ma che aveva già smesso di frequentare il Tribunale e si era messo a scrivere sul mondo degli avvocati sognando di pubblicare prima o dopo un legal thriller all’italiana.
Uno che si è salvato in tempo, dunque, il Carosi, ma che tuttavia ha avuto modo di vedere dall’interno come funziona questo mestiere e i suoi protagonisti. E a un certo punto scrive: “Gli avvocati non godono certo di buona fama. Vengono definiti squali, rapaci, approfittatori, vampiri, cinici, esosi e chi più ne ha più ne metta”. Ma “Volete fare un dispetto a un avvocato! Ditegli che è buono e onesto, che le sue tariffe sono economiche e la sua disponibilità squisita. Si sentirà talmente allontanato dall’idea comune diffusa sugli avvocati da soffrirne e tenterà in tutti i modi di dimostrarvi il contrario pur di rientrare nella categoria alla quale si sente onorato di appartenere”.
A proposito di parcelle, poi, riflette più avanti Carosi, “Sono, ahimè, passati i tempi in cui ce la si cavava con quattro capponi…” per i conti con l’avvocato, anche se “dopo aver staccato un congruo anticipio diventerete il suo migliore amico. Sarà disposto a condividere con voi ogni sofferenza, stato d’ansia e preoccupazione. Se l’assegno raggiunge le otto cifre, potrete vederlo anche piangere (dalla gioia) per la vostra disperazione. E poi dicono che gli avvocati sono attaccati al denaro!”.
Un libro, insomma, che si muove tra perfidia e indulgenza nei confronti della categoria, con l’insito augurio al lettore di non averne mai bisogno. Senza dimenticarne però, aggiungiamo noi, l’estrema utilità in caso di bisogno. (G. C.)